La sicurezza, la fanno le persone

#Socialorg di Alessandro Donadio Le aziende sono i più grandi produttori di dati al mondo e nella Social Organization questo diventa ancora più significativo, sono le persone che li producono e solo loro possono, davvero, proteggerli, come? Con i comportamenti Uno dei portati innegabili della rivoluzione digitale è la produzione e disponibilità del dato. Questo […]

#Socialorg

di Alessandro Donadio

Le aziende sono i più grandi produttori di dati al mondo e nella Social Organization questo diventa ancora più significativo, sono le persone che li producono e solo loro possono, davvero, proteggerli, come? Con i comportamenti

Uno dei portati innegabili della rivoluzione digitale è la produzione e disponibilità del dato. Questo è generato ovunque, in molti e diversi formati, ed è disponibile potenzialmente senza limiti. Una grande complessità, certo, ma anche una opportunità importante, che non può essere mancata dalle organizzazioni. La domanda si pone non solo nel web in senso ampio ma anche in quella che chiamiamo la social organization. Qui si producono molti dati nei contesti digitali di cui l’azienda moderna dispone. Ma il tema è: come gestirli?

SOCIALORG: BRODO DI COLTURA DEL DATO
Se, ricordiamolo, la socialorg è quel contesto digitale in cui le persone scambiano conversazioni, comunicazioni, file in modo ampio e diffuso, allora questa diviene brodo di coltura del dato per elezione. Gli scambi che avvengono, di fatto, producono una continua immissione di dati nell’ecosistema digitale, il quale non solo ne facilita la generazione, ma anche poi li “contiene”. Social Intranet, enterprise social network platform, document sharing tools, chat, ma anche le più comune mail, ospitano ogni giorno questo flusso “creativo” di dati che pervadono l’organizzazione. Vi sono due necessità a questo punto che colgono le organizzazioni rispetto a questo tema:
1. come raccogliere, comprendere e valorizzare questa disponibilità?
2. come proteggere il dato che è una risorsa chiave nei processi di sviluppo, innovazione e di presa di decisioni nelle organizzazioni?

IL DATO CI FA CRESCERE
Come abbiamo detto il dato è una disponibilità di cui aver cura. Nella sua forma base (post, file, chat) può non dire nulla, ma se aggregato e lavorato al meglio diventa strumento di comprensione di fenomeni ed emersione di opportunità.
Nell’organizzazione intercettare scambi di valore fra persone che risolvono problemi può dare conto di dove si annidano know how importanti, per esempio, o di come si risolvono problemi in contesti complessi. I dati sul cliente, sui collaboratori, sui processi forniscono un’informazione utile alla presa delle decisioni future in ambito di business, di people management, di efficientamento. Ecco perché l’intercettazione, l’ascolto e l’interpretazione di questi è fattore importante: perché ci fa crescere come organizzazione nella capacità di affrontare sfide continue, a partire da risorse di conoscenza che si generano proprio dentro l’azienda.

PROTEGGERE IL DATO SENZA NASCONDERLO
Ora, se quello che abbiamo appena detto è vero, la protezione del dato diventa un elemento fondamentale. Lo dobbiamo di fatto proteggere nel senso di “non perderlo”, ma anche nel senso di non “disperderlo”: e questo è molto facile oggi se pensiamo a come gli ambienti digitali siano fluidi e tendenzialmente aperti. Dico aperti, e così devono essere, perché in effetti la migliore protezione non sta nel chiudere in modo stringente gli ambiti tecnologici in cui il dato si produce e circola, ma piuttosto nell’evitare che questo si disperda prima che l’organizzazione se ne sia fatta qualcosa di utile (gestire una crisi, valorizzare un talento, generare innovazione). In questo senso possiamo dire che sono due gli ambiti su cui agire per generare un reale contesto di valorizzazione e protezione del dato: processi; devono sempre orientarsi alla circolazione emersa del dato.
Si ottiene valorizzando sempre più gli ambienti social e digital messi a disposizione alle persone che così li conversano dando evidenza dei dati ed informazioni che stanno generando.
Insomma, i processi core organizzativi quando diventano digital semplicemente rendono questi dati visibili e palesi. ambienti tecnologici; sono gli abilitanti primari come abbiamo sempre detto. Strumenti e tool tipici da social organization ospitano quei processi di cui abbiamo detto e mettono in condizione le persone di scambiare il dato sempre più e meglio.
Qui la protezione si può agire inserendo dei meccanismi regolatori delle utenze: non tutti possono fare tutto, non tutto è postabile, non tutto è scambiabile. Ma attenzione al limite oltre il quale queste leve di deterrenza tecnica ingenerano dis-empowerment delle persone che poi finiscono per non usare più gli strumenti.

NON ALLA FINE, MA ALLA BASE: LE PERSONE
Non sfugge come nelle due dimensioni che abbiamo sviscerato prima le persone risultino sempre centrali. Agiscono i processi, rispettano o meno le compliance, usano o meno gli strumenti di collaboration. Su queste, ma soprattutto, “con” queste va creato il vero e solido sistema di protezione del dato attraverso delle fasi che accrescono il loro duplice ruolo attivo di produttori e difensori del dato organizzativo : consapevolezza > va accresciuta spiegando sempre meglio quali dati sono valore organizzativo forte e quale impatto avrebbe la perdita o fuoriuscita dal contesto aziendale training; per evitare che la dispersione del dato avvenga in modo colposo, anche se non doloso.
Qualche volta il tema è sapere come usare le leve difensive che gli strumenti tecnologici hanno a disposizione, in modo consapevole valorizzazionet; delle migliori pratiche di produzione e difesa che le persone mettono in atto. Si tratta di creare dei modelli di ruolo da replicare continuamente.

IL DATO È TRATTO
Finendo come abbiamo iniziato diciamo che non è pensabile oggi non produrre dati. Non tutti sono a massimo valore per le organizzazioni, ma altri sì: sapere organizzativo, elementi di reputation, modalità operative caratteristiche, informazioni riservate. Questo deve essere molto chiaro alle persone perché saranno loro, agendo in modo responsabile, ad evitare ogni forma di dispersione, massimizzando regole che certo devono esistere e le tecnologie di “difesa” che certo devono essere predisposte.

*Ha iniziato a lavorare in azienda in ambito organizzazione e HR per poi passare alla consulenza. Appassionato dell’approccio etnologico, affronta l’azienda con un occhio attento alle sue “tribù”: le community. Esperto di Social business e SocialHR è founder del noto HashBrand #socialorg, con cui segue progetti complessi di digital transformation. Il suo blog “Metaloghi organizzativi 2.0” è punto di riferimento di divulgazione sul tema della Social Enterprise.
Sicurezza Persone SocialOrg


La sicurezza, la fanno le persone - Ultima modifica: 2016-02-27T09:08:05+00:00 da Francesco Marino
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