L’importanza di “potare” i testi

Per far sbocciare un bel testo, bisogna prima saperlo potare. Ma cosa va tagliato? Consigli e segreti per un fior fiore di testo.

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Per far sbocciare un bel testo, bisogna prima saperlo potare. Ma cosa va tagliato? Consigli e segreti per un fior fiore di testo.

di Valentina Falcinelli*

È difficile lasciare andare via qualcosa cui si tiene tanto. E chi scrive, se vuole farlo bene, deve lasciare andare via, ogni giorno, un mare di parole. È triste, doloroso, alle volte sembra quasi crudele e persino ingiusto: questo è il lavoro dello scrittore. Il professionista, a differenza del mestierante, è consapevole dell’importanza di potare i testi. Un fior fiore di testo, infatti, non può sbocciare in tutto il suo splendore se al suo interno ci sono rami secchi.

Ora ti faccio capire meglio il concetto con una breve storia. Mio nonno paterno è un contadino e, ogni anno, dacché ho memoria, mio padre lo aiuta a raccogliere le olive per fare il famoso “olio buono”. Quello di casa. Raccogliere le olive è un lavoraccio – credimi. E raccogliere le olive su una pianta che non è stata potata a dovere è persino peggio: è un incubo! Mio padre dice spesso: “Bisogna togliere i succhioni”. I succhioni. Ma che diamine sono? I succhioni – lo so, non è granché bella come parola – sono i rami dell’ulivo che crescono all’interno della pianta e che non danno frutti. Sono un intralcio. Vanno tolti per alleggerire la chioma dell’ulivo.

Quando scriviamo qualcosa, senza rendercene conto, appesantiamo il testo di rami inutili. Spesso allunghiamo il brodo, usiamo perifrasi non necessarie, cadiamo in forme ampollose, gli diamo dentro con avverbi, gerundi, forme passive, nominalizzazioni… E ci beiamo così tanto del nostro lavoro, di noi stessi, del nostro innato talento che non vediamo.

Siamo accecati dal nostro ego e non ci rendiamo conto che avremmo potuto far meglio. Meglio per chi? Per noi stessi? Certo che no: per il lettore. È sempre a lui che dobbiamo pensare. È per lui che i rami secchi rappresentano un intralcio. Perché il lettore deve potersi muovere all’interno del testo con agilità. Deve poter (rac)cogliere le informazioni di cui ha bisogno in modo semplice e veloce. Non deve mai tornare indietro: ogni volta che lo fa, infatti, vuol dire che non ha capito il messaggio. E se non capisce, la colpa è solo dell’autore. Ecco perché un testo, prima di poter sbocciare rigoglioso, richiede un po’ di potatura.

Qui qualche consiglio per potare il giusto:
·        Occhio alle ridondanze. Ci sono ripetizioni buone e ripetizioni fastidiose. In fase di rilettura presta attenzione alle parole: all’interno di una frase si ripete due volte lo stesso termine? Chiediti se la ripetizione è voluta oppure frutto di distrazione. Nel secondo caso, sostituisci con un sinonimo.
·        Evita forme vuote (e stupide). “Un regalo gratuito”, “Una sorpresa inaspettata”, “Un cliché banale”, “Un arcobaleno colorato”, “La migliore panacea”, “La garanzia più sicura”. Rileggi queste forme e ammettilo: non ti fanno sorridere almeno un po’? No? Quindi non hai sorriso nemmeno di fronte alla possibilità di dover pagare per un regalo che qualcuno ha voluto farti? Houston: abbiamo un problema.
·        Evita forme più lunghe del dovuto. “L’obiettivo è quello di fatturare”, “Le indicazioni per poter arrivare”, “Le argomentazioni non sono sufficienti”. Non sarebbe meglio dire “L’obiettivo è fatturare”, “Le indicazioni per arrivare” e “Le argomentazioni sono insufficienti”?
·        Non esagerare con gli avverbi. Ci sono avverbi che non aggiungono valore alla frase, e sono quelli che finiscono in -mente. Se aggiungono valore, spesso possono essere sostituiti con forme più brevi. A volte, per esempio, si può fare persino un uso avverbiale dell’aggettivo (es. Ho dormito beato → beatamente).
·        Taglia il gerundio. Il gerundio è una forma verbale infame. Strizza l’occhio allo scrittore pigro; è infimo, vile, meschino. Non cadere nella rete del gerundio: ricordati che può essere sostituito (quasi) sempre da forme attive. E le forme attive sono forti, aggiungono chiarezza e leggerezza al testo.
·        Non diluire il brodo. Uno dei consigli che di solito si danno nei corsi di storytelling è questo: “Quando è finita, finiscila”. Significa che quando si finisce di dire ciò che si voleva dire, non occorre aggiungere altro. Il brodo, però, non va allungato nemmeno all’inizio del testo. Soprattutto sul web. L’attacco deve essere coinvolgente, quindi va bene usare un aneddoto, una piccola storia, una domanda. È giusto non entrare a gamba tesa. Ricorda però che il lettore cerca risposte e non vuol perder tempo.
·        Semplicità significa togliere l’extra, non l’essenziale. In fase di editing, ricordati di prestare attenzione a non fare l’errore opposto: tagliare troppo. Se pensi che un’informazione possa essere utile, perché chiarisce un concetto o aggiunge qualcosa di nuovo al messaggio, lasciala lì. Anzi, dalle aria. Isolala tra due blocchi di testo più ampi; mettila in grassetto; dalle un ritmo più concitato. Ricorda: you’ve got the powa!

E adesso, hop hop!, prendi gli attrezzi del mestiere e inizia a potare i tuoi testi. Non aver paura di lasciar andare via qualcosa, non attaccarti ai rami secchi: pensa, invece, alla bellezza di un testo in fiore.
Pennamontata potare i testi

* CEO e copywriter dell’agenzia più magenta del web, Pennamontata, so scrivere senza guardare la tastiera, ma non so guardare la tastiera senza scrivere. Il copywriting per me è il pane e la creatività il companatico. Ogni tanto, però, mi nutro anche di pizza.

 


L’importanza di “potare” i testi - Ultima modifica: 2016-07-07T09:00:22+00:00 da Cecilia Cantadore
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