Big data: cosa sono e a cosa servono

Quantità straordinarie di informazioni prodotte ogni secondo: nell’articolo cosa sono, ed esempi d’utilizzo dei Big Data, il “petrolio” dell’era digitale.

I Big Data e la loro funzionalità hanno invaso ogni settore: cosa si intende con il termine Big Data, come vengono acquisiti, e in che modo possono essere sfruttati per migliorare la qualità della vita.

Big data: cosa sono e a cosa servono

Big data”: una dicitura assai diffusa negli ultimi tempi, spesso usata, però, in modo improprio.
Letteralmente, “grandi (quantità di) dati”: questa la definizione di Big Data, l’enorme mole di dati oggi generati in qualsiasi settore, e attraverso le azioni più disparate. Scendendo nello specifico, spesso con “Big Data” si fa riferimento non tanto alla grande quantità di dati che vengono prodotti e acquisiti ogni giorno, ma ai sistemi che sono in grado di gestirli ed elaborarli.

Cosa sono i big data

È la prima volta nella storia dell’umanità che l’uomo, e le aziende, sono in grado di entrare in possesso di una quantità incommensurabile di dati: sulle persone, sui propri clienti, su caratteristiche che ritraggono specifici profili, con tendenze di acquisto, stili di vita, interessi e tanto altro. Il tutto, grazie a un flusso di informazioni mai visto finora: parliamo di dati sensibili, di informazioni e nozioni che riguardano ognuno di noi e qualsiasi sfera della vita.

Vengono considerate nel discorso le informazioni sull’età, sul sesso, le preferenze, i desideri di acquisto e relativi bisogni, ma anche la posizione – geografica e lavorativa – attuale, le abitudini, i viaggi intrapresi o le auto appartenute…

In principio erano i byte l’unità di misura d’orientamento nel campo informatico, equivalente di 8 bit, ma al giorno d’oggi siamo in possesso di così tanti dati da pensare che bit, byte, mega e gigabyte siano soltanto un lontano e caro ricordo. Esiste una quantità inimmaginabile di dati generata ogni minuto, ogni secondo, tanto da rendere necessario il riferimento all’unità di misura informatica dello zettabyte, vale a dire l’equivalente di un triliardo di byte. Numeri da capogiro.

Come funzionano i Big Data

Siamo una costante fonte di dati: ogni volta che viene usato uno smartphone, ormai compagno di vita di tutti i giorni, viene emessa una certa quantità di dati immagazzinati in vario modo.
Questi dati vengono conquistati tramite i sensori installati negli smartphone, ma anche attraverso le ricerche effettuate online per ottenere informazioni da internet, oppure mediante il semplice accesso al proprio profilo sui social network.

Ed è proprio così che viene oggi acquisita una parte importante dei dati digitali emessi in continuazione.

Tuttavia, chi non usa uno smartphone non può considerarsi escluso dal discorso: esistono diversi altri canali in grado di raccogliere Big Data, che passano per tablet, computer, social network, ma anche carte di credito, o le più tradizionali carte fedeltà.

Tutti questi dati, dunque, per trasmettere il valore offerto dai Big Data, passano per diverse fasi, quali:

  • La raccolta;
  • La memorizzazione;
  • L’analisi;
  • L’utilizzo finale.

Le 3 V dei Big Data (+2)

Quando si parla di Big Data, si prendono di norma in considerazione le 3 caratteristiche che li rendono tali, ovvero:

  1. Volume;
  2. Varietà;
  3. Velocità.

A queste, vengono spesso aggiunte anche:

  1. Veridicità;
  2. Variabilità.

Prima di tutto, si ragiona in termini di quantità: i Big Data sono una realtà mastodontica, più di quanto non lo siano mai stati fino a questo momento, grazie alla vastità di informazioni prodotte. Queste informazioni vengono considerate varie, poiché provengono dalle fonti più disparate e riguardano i settori più diversi, mentre per velocità si intende non solo quella con cui vengono sfornate costantemente le informazioni, ma anche quella relativa all’elaborazione, attraverso addestrati e sofisticati algoritmi delle intelligenze artificiali.

Inoltre, i Big Data possono essere considerati tali solo quando sono realistici: a differenza dei metodi di raccolta dati del passato, come le tradizionali interviste, i Big Data non mentono.

Infine, ognuno di noi produce – più o meno consapevolmente – le informazioni in questione, sulla base (mutevole) del contesto in cui si trova ad operare.

Big Data Analytics: cos’è e come funziona

A cosa servono i Big Data?

Lo scopo principale del ricorso ai Big Data è la conoscenza proveniente dalle molteplici informazioni derivanti dagli stessi.

Queste informazioni possono rivelarsi potenti alleati per le aziende: permettono di capire i trend del mercato, aumentare le vendite, migliorare la soddisfazione dei clienti comprendendone le scelte, oltre a realizzare modelli predittivi in grado di prevedere andamenti futuri, e rispondere alla richiesta di mercato con puntuale tempismo.

Come già accennato, per arrivare a questo obiettivo è necessario passare per diverse fasi come la raccolta dei dati, la catalogazione e, infine, la Big Data Analytics.

Eseguire l’analisi dei Big Data significa estrarre informazioni che possano essere utilizzabili e di valore per l’azienda, attraverso la conversione dei dati – da destrutturati a strutturati.

La Big Data Analytics, quindi, si occupa di organizzare le informazioni ottenute durante la fase di raccolta, e di trovare correlazioni tra i dati attraverso l’impiego di pattern e modelli.

La Big Data Analytics può essere utile in diversi campi di applicazione, a seconda del tipo di analisi richiesta.
Vengono distinti tipi di analisi differenti applicate ai Big Data, come:

  • Descriptive Analytics;
  • Predictive Analytics;
  • Prescriptive Analytics;
  • Automated Analytics.

Grazie al primo tipo di Big Data Analytics, ad esempio, è possibile ottenere un quadro d’insieme della situazione attuale dell’azienda, procedendo poi alla richiesta di predizioni degli andamenti futuri e di possibili soluzioni, senza dimenticare l’attuazione automatica di queste ultime in base ai risultati ottenuti.

Le tecnologie specifiche per i Big Data

Per arrivare a questi risultati, è necessario ricorrere a strumenti di business intelligence: parliamo in maniera sostanziale di software specifici, basati su sistemi di algoritmi e database. Questi sistemi software sono in grado di eseguire analisi dettagliate, sfruttando le infrastrutture dedicate per eseguire complessi calcoli o archiviare dati, informazioni e risultati ottenuti.

Esistono diverse tecnologie da applicare ai Big Data, come ad esempio il data e text mining, per l’estrazione di informazioni da dati e l’analisi dei testi, ma anche l’analisi predittiva o forecasting.

Il Data Scientist

I Big Data sono dunque la pietra miliare dell’intelligenza artificiale di oggi: sarebbero (quasi) inutili, se a sceglierli e selezionarli non ci fosse una figura professionale preparata, come un esperto in gestione e analisi dei dati. Quest’ultimo prende il nome di Data Scientist, ed è uno specialista che esamina le diverse tipologie di dati raccolti, stabilisce quali elaborare tramite l’AI, e seleziona le relative informazioni necessarie allo scopo prestabilito.

Il Data Scientist, dunque, seleziona, valuta e interpreta i risultati dell’elaborazione dei Big Data, trasformando i dati grezzi in informazioni utili, e mettendole al servizio dell’azienda.

Esempi concreti di Big Data

L’esempio di ricorso ai Big Data più vicino ad ognuno di noi riguarda la sfera del marketing: basti pensare alle cosiddette proposte d’acquisto, grazie alle quali è possibile farsi un’idea sull’utilità di questo strumento.

Esempi di Big Data possono essere dunque forniti da famosi brand come Amazon, ma anche eBay, Netflix, o YouTube, dove le proposte mostrate dai banner sembrano essere cucite su misura per l’utente.
Nel campo del marketing, i Big Data vengono impiegati per profilare: sono la gallina dalle uova d’oro che permette di proporre in modo mirato prodotti o servizi, sulla base di necessità o preferenze personali.

Ma l’uso dei Big Data non è circoscritto soltanto al campo delle vendite: se per quanto riguarda il marketing possono essere sfruttati per proposte specifiche, anche in medicina la possibilità di confrontare una consistente quantità di dati raccolti su pazienti in cura potrebbe significare la fine di tante patologie che continuano ad affliggere l’umanità.

Inoltre, i Big Data vengono impiegati anche per individuare perdite o sprechi economici all’interno delle compagnie, per creare prodotti più soddisfacenti per le persone, o nel ramo ingegneristico per prevedere guasti o difetti.

Riuscire a prevedere un guasto meccanico in un’azienda è un aiuto straordinario per le società, ed è realtà: Giulia Baccarin, imprenditrice vicentina fondatrice di I-care, attraverso i Big Data e al relativo processo dell’intelligenza artificiale, è in grado di aiutare le aziende con la manutenzione predittiva.

Valore del mercato e diffusione dei Big Data in Italia

 

Il ricorso all’analisi di Big Data viene effettuato per lo più da grandi imprese (88%), contro il 12% delle PMI, e i settori che si affidano all’analisi dei Big Data sono:

  1. Banche 28%;
  2. Manifatturiero 25%;
  3. Telco e Media 14%;
  4. Servizi 8%;
  5. Grande Distribuzione Organizzata e Retail 7%;
  6. Assicurazioni 6%;
  7. Utility 6%;
  8. Pubblica Amministrazione e Sanità 6%.

Il rapporto  dello scorso anno restituiva una fotografia piuttosto deludente relativa alle piccole e medie imprese italiane, dove la percentuale maggiore del 31% affermava di essere in corso di preparazione per l’adozione di sistemi, metodologie ed analisi dei Big Data, mentre solo il 7% aveva già progetti di Big Data Analytics già in corso. Nel mezzo, un variare tra scetticismo, o mancanze di budget e competenze.


Big data: cosa sono e a cosa servono - Ultima modifica: 2017-11-17T07:30:51+00:00 da Maria Grazia Tecchia

Giornalista, blogger e content editor. Ha realizzato il sogno di coniugare le sue due più grandi passioni: la scrittura e la tecnologia. Esperta di comunicazione online, da anni realizza articoli per il web occupandosi della tecnologia a più livelli.

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