Toshiba, in vendita la divisione memory chip: un caso nazionale

Il gigante giapponese Toshiba, secondo costruttore al mondo di memory chip dopo Samsung, lascia il business proprio nel suo momento d’oro

Toshiba ha messo in vendita il suo gioiello più prestigioso: la divisione memory chip. Per continuare a sopravvivere e far fronte a perdite disastrose, accumulate a causa di avventati e mal gestiti investimenti nel nucleare negli Stati Uniti, la vendita di questa divisione sembra essere l’unica alternativa per colmare le perdite e salvare il salvabile.

*di Manuel Maiorelli

Nel 1984 Fujio Matsuoka inventò un nuovo tipo di memoria a semiconduttori nei laboratori della Toshiba, la “memoria flash” (anche conosciuta come flash memory). Per anni il colosso giapponese, fu leader indiscusso e guidò questo settore portandolo alla generazione successiva. Il Nand flash memory, che di fatto è diventato uno standard internazionale, è una tecnologia largamente utilizzata in una vasta gamma di applicazioni, dalle memory card ai Solid-State Drives (Ssd), dai dispositivi wearable e mobile ad apparecchiature industriali e data center. Tecnologia che vede, con la crescita esponenziale del volume delle informazioni condivise ogni giorno da milioni di utenti, l’aumento della domanda di unità per dispositivi di memorizzazione: un business quindi dai larghi profitti.

Basti pensare che secondo una ricerca di Cisco, entro il 2020, il volume di dati immagazzinati nei data center seguirà una crescita 5 volte superiore, da 400 exabyte a quasi 2 zettabyte, abbastanza storage da contenere più di 60.000 volte l’intero video catalogo di Netflix. Sotto gli auspici di questa crescita nel 2014 Toshiba ha avviato inoltre un piano di ampliamento degli stabilimenti di Yokkaichi, il cuore dello sviluppo e produzione del business Nand.

Toshiba, dallo storage al nucleare

Investimenti mal riusciti nel nucleare però si stanno portando via tutto quel che di buono era rimasto. Toshiba acquistò Westinghouse Electric nel 2006 per 5,4 miliardi di dollari per sfruttare economie di scala nella costruzione di nuovi impianti nucleari negli Stati Uniti. Tale acquisizione diede vita a due progetti di grande interesse conosciuti come il “V.C. Summer” nello stato del Sud Carolina e il “Voglte” in Georgia, dove si prevedeva la costruzione totale di quattro nuovi reattori nucleari con l’obiettivo di produrre energia nei primi mesi del 2017. Purtroppo per Toshiba, però, i reattori sono solo a metà dell’opera, i cantieri in fase di stallo e Westinghouse Electric ha annunciato lo stato di bancarotta il mese scorso. Interessi che non sono andati a buon fine, un po’ perché l’industria del nucleare nell’ultimo decennio non gode di profitti particolarmente positivi, mentre altre alternative sono più remunerative, un po’ perché di mezzo c’è stata la catastrofe di Fukushima del 2011, che ha diminuito il consenso popolare nei confronti del nucleare e aumentato i costi sulla sicurezza e sulla manutenzione degli impianti.

Se si aggiunge anche una inefficiente gestione manageriale da parte di Toshiba in questo settore, la bancarotta e i miliardi di debiti accumulati non sono poi una sorpresa.

Dopo aver mancato per due volte consecutive l’appello nel rendere pubblici i risultati dell’andamento dell’azienda, Toshiba ha recentemente annunciato una perdita di 5,9 miliardi di dollari per il trimestre ottobre-dicembre 2016. Una mossa che ha fatto discutere non solo per le cifre astronomiche (si tratta di uno dei più grandi risultati negativi per un’azienda manifatturiera nella storia economica giapponese) ma anche perché il risultato è stato annunciato senza l’approvazione dell’agenzia di consulenza aziendale Pricewaterhouse Coopers Arata, che ha ritenuto il caso estremamente complesso. Inoltre, se Toshiba fosse in grado di liberarsi di Westinghouse Electric, la cifra in rosso salirebbe fino a circa 9 miliardi di dollari, un ammontare che dopo aver fatto collassare i titoli in borsa ha messo in discussione la sopravvivenza di Toshiba stessa.

Acquirenti non giapponesi per la divisione memory chip

Perdite a parte, la vendita del business di memory chip rimane quindi l’unico gommone di salvataggio per l’azienda, anche se non è così semplice come sembrerebbe. Infatti, come spesso avviene nelle situazioni di corporation “too big to fail” anche il governo giapponese sta ricoprendo un ruolo principale, aggiungendo peraltro un pizzico di nazionalismo che rende le trattative stesse ancora più complesse di quelle che sono. Il governo giapponese sarebbe riluttante all’idea di vendere e trasferire tecnologie avanzate made in Japan a partner cinesi e taiwanesi che spuntano tra gli offerenti. I probabili acquirenti, che prima erano una decina, sono diminuiti a cinque: Broadcom Ltd., Western Digital, Micron Technology, SK Hynix e Foxconn. Quest’ultima nel 2016 prelevò un’altra storica azienda nipponica, la Sharp. Se Foxconn si aggiudicasse anche questo bottino, l’immagine e l’orgoglio giapponese ne verrebbe colpito duramente e seguirebbe anche un riscontro negativo da parte dell’opinione pubblica.

In questa situazione già complicata, altri due pezzi non poco importanti si aggiungono allo scacchiere: Apple e Softbank. La prima sembrerebbe ipotizzare un investimento miliardario nel business dei memory chip lasciando una parte minoritaria a Toshiba. Una mossa che piacerebbe al governo giapponese, il quale riuscirebbe a mantenere in mani americane-giapponesi la tecnologia e l’azienda, ma che però è ancora da confermare. La seconda, invece, come garante e interlocutore tra il governo giapponese e l’azienda taiwanese Foxconn favorirebbe la vendita a quest’ultima. Azione che, anche se non piace al governo nipponico (la vendita finirebbe in mani cinesi-taiwanesi), non si esclude possa avere un esito positivo. È stato infatti grazie all’intervento di Softbank che Foxconn riuscì ad acquisire il 66% delle azioni di Sharp l’anno scorso. Le trattative dureranno ancora per un po’ e non si sa mai che qualche nuovo colpo di scena possa prendere piede.

Per il momento, a buttare benzina sul fuoco ci ha pensato Western Digital, uno dei probabili acquirenti e già partner di Toshiba nel business dei memory chip, che tramite una lettera ha avvertito che la messa in vendita dell’unità dei memory chip violerebbe gli accordi intrapresi tra le due parti. Insomma, per Toshiba un incubo senza fine.

tokyo-ga toshiba vende business memory chip

*Manuela Maiorelli: nato in un piccolo paese dell’Emilia scopre l’Oriente attraverso la lettura dei grandi viaggiatori del passato. Cercando di seguirne i passi si laurea in Lingue e Culture dell’Asia. Dopo tante avventure nel continente asiatico e attirato dall’intreccio armonioso tra tecnologia, modernità e tradizione si ferma nella punta più estrema d’Oriente: il Giappone.


Toshiba, in vendita la divisione memory chip: un caso nazionale - Ultima modifica: 2017-07-09T14:03:39+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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