La Digital Transformation è una questione “biologica”

Potrà sembrare strano ma uno dei punti di vista migliori per guardare alla Digital Transformation è quello della vecchia, cara biologia.


Potrà sembrare strano e molto poco hi-tech, ma uno dei punti di vista migliori per guardare alla Digital Transformation e alla nuova rivoluzione industriale (4.0) è quello della vecchia, cara biologia.

di Antonella Tagliabue*

Antonella TagliabueLa biologia è la storia dell’evoluzione e del cambiamento, sia quello costruttivo che distruttivo. E poi, secondo gli esperti, la trasformazione verso l’era digitale è innanzitutto un fattore umano e culturale.
Sembra infatti già ampiamente provato che la maggior causa di insuccesso dei percorsi di Digital Transformation risieda nel fatto che le scelte giuste vengano fatte dalle persone sbagliate, che pensano in maniera errata. In un recente report di Microsoft si parla di innescare processi “that allows people to innovate and to disrupt themselves”. Innovare e allo stesso tempo “disturbare” efficacemente, in modo da causare problemi e quindi impedire che le cose continuino a essere fatte come al solito, secondo la definizione di disruption del Cambridge Dictionary. E disturbare non solo l’ordine costituito, ma se stessi!
Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum, sostiene che “a differenza delle precedenti rivoluzioni industriali, questa evolve a un ritmo esponenziale e non lineare”. Non cambia semplicemente il “cosa” e il “come” fare le cose, ma anche il “chi siamo”.

Cambiare noi stessi, dotarci di un vero proprio Dna digitale e superare i limiti fisici delle risorse in grado di offrirci realmente una crescita geometrica.
In biologia i modelli matematici esponenziali di crescita sono stati applicati allo studio dell’andamento delle popolazioni.
In natura una popolazione può crescere secondo una curva esponenziale solo in presenza di condizioni particolari e in un limitato intervallo di tempo; questa progressione ha stimolato numerose teorie economiche di lungo corso, a partire da quelle di Malthus.

La crescita esponenziale porta però in sé i germi della sua distruzione: via via che la densità di popolazione aumenta, si intensifica la competizione per le risorse. Quindi dopo un periodo di sviluppo esponenziale, le popolazioni tendono a fluttuare attorno alla dimensione massima che l’ambiente è in grado di sostenere.
Con l’applicazione dell’equazione logistica (o modello di Verhulst) si è visto che la crescita si arresta quando si raggiunge la massima densità di popolazione sostenibile dal sistema.
Il darwinismo digitale ha già mostrato di non avere pietà con chi aspetta. Delle aziende inserite nella Fortune 500 dell’anno 2000 il 52% si è fusa, è stata acquisita o è finita in bancarotta. Secondo uno studio di Richard Foster l’età media di un’impresa S&P 500 era – sin dal 1959 – di 58 anni. Attualmente è scesa a 15 e sarà pari a 12 nel 2020.
Dalla biologia viene anche il concetto di ecosistema – l’insieme degli organismi viventi e non con cui stabilire uno scambio di materiali e di energia, in un’area delimitata, costituendo un sistema autosufficiente e in equilibrio dinamico – perché il futuro 4.0 sarà quello degli ecosistemi digitali.
Dovranno essere distribuiti, adattivi, auto-organizzati, scalabili e, soprattutto, sostenibili, “come avviene in natura” secondo Wikipedia.
Qualcuno la chiama WeEconomy, una sfida non da poco in un momento in cui la vita sociale passa attraverso la semplificazione individuale del selfie.
In pratica la Digital Transformation in un ecosistema popolato da umani dovrà rivoluzionare la vita di comunità, della cultura, del futuro della società e dell’economia.
Nella società sostenibile del futuro le persone potranno fare scelte informate, anche rispetto agli impatti sull’ecosistema dei loro comportamenti.
Le modalità di partecipazione alla vita comune verranno stravolte dalle interazioni digitali che dovrebbero rafforzare – e non sostituire – le relazioni umane.
Nell’era dell’Industry 4.0 i modelli economici dovranno essere diversi, nuovi, in grado di cogliere le opportunità non più basandosi sull’esistenza di asimmetrie. L’IT dovrebbe diventare una utility per la vita, ma avendo prima risolto le questioni relative alla privacy, alla fiducia e al valore dell’interconnessione (oltre che al suo prezzo).
La rivoluzione digitale virtuosa, oltre che virtuale, sarà dunque una questione di condivisione (sharing) e circolarità, dell’economia, delle relazioni, dei vantaggi.
Non a caso il report dell’Unido (l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale) sulla quarta rivoluzione industriale si intitola “Making it sustainable”. Sì, insomma, facciamolo, ma sostenibile.


RISORSE

Gangnam Style o rinnovabile?
Cliccare inquina. Secondo Greenpeace “se Internet fosse un Paese, sarebbe il sesto consumatore mondiale di energia”. In pratica la Germania.
I data center, si sa, consumano molta energia. Per dare sostanza a questo fatto noto basti pensare che, tutte le visualizzazioni di Gangnam Style messe insieme, cioè oltre 27 miliardi, equivalgono al consumo di un anno di una piccola centrale elettrica.
Sempre più aziende per alimentare i propri parchi di server si servono di energie provenienti da fonti rinnovabili. Il 74% dell’energia di Yahoo! è rinnovabile. Google è al 56%, Facebook (più Instagram) è al 67%. Netflix? È molto indietro e così anche Twitter. Per questo motivo Greenpeace chiede ai suoi simpatizzanti di fare pressioni su queste aziende per incoraggiarle a prendere il cammino delle rinnovabili.

Verso una PA Green
Con il 2017 arrivano nuovi criteri “ambientali” per gli acquisti della pubblica amministrazione, in tre diversi settori: l’edilizia, i prodotti tessili e gli arredi per interni. Lo stabilisce un decreto a firma del ministro Gian Luca Galletti, attraverso un aggiornamento dei cosiddetti Criteri Ambientali Minimi (Cam). Tra le novità, l’aggiunta del criterio dell’ecodesign e il divieto di acquistare alcune categorie di prodotti usa e getta, oltre alla valorizzazione dell’economia circolare, grazie al ricorso a prodotti riciclati e preparati per il riutilizzo.

L’Italia in 10 selfie
Fondazione Symbola propone l’idea di una nuova economia sostenibile attraverso un’analisi del Paese in 10 scatti. Green economy, agroalimentare, competitività, nautica, cultura e bellezza visti con gli occhi dell’eccellenza che già esiste. I selfie sono disponibili su
www.symbola.net.

*Antonella Tagliabue – Amministratore delegato della società di consulenza strategica di Un-Guru, esperta di sviluppo sostenibile. Laureata in Scienze Politiche, con specializzazione in Storia e Istituzioni dell’America Latina. Si è occupata di comunicazione e marketing per multinazionali e gruppi italiani. Da anni si occupa di Green Economy e di responsabilità sociale e ambientale d’impresa, insegna in corsi e master. “Penso che la sostenibilità debba essere una scelta, prima che un dovere, ma che debba essere strategica e, quindi, responsabile. Quando parlo del Pianeta lo faccio con la P maiuscola e credo che il rispetto per la vita in senso biologico debba essere un istinto”. Leggo, viaggio e scrivo per passione. Camus diceva: “Sono contro tutti coloro che credono di avere assolutamente ragione. Per questo pratico il dubbio, coltivo i miei difetti, cerco di sbagliare sulla base di ragionevoli certezze e mantengo un ottimismo ostinato”.

Digital Tansformation biologica


La Digital Transformation è una questione “biologica” - Ultima modifica: 2017-04-18T08:00:26+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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