Una città tecno-libertaria fluttuante potrebbe sorgere nel Pacifico

Un gruppo di professionisti si riunisce a Tahiti per discutere la costruzione di città galleggianti nel Pacifico al largo delle coste della Polinesia

Nel mese di maggio, un gruppo di professionisti si riunirà a Tahiti per discutere la costruzione di città galleggianti nel Pacifico al largo delle coste della Polinesia francese. Gli uomini del Seasteading Institute, infatti, nutrono il sogno di costruire delle piattaforme extra-nazionali nel bel mezzo dell’oceano. L’organizzazione è stata derisa per la sua idea tecno-utopica – definita irrealizzabile – e vista come un mezzo per favorire l’evasione fiscale, sin dalla nascita dell’istituto che risale al 2008.

Il movimento delle micro-nazioni non è una novità, ma l’idea di creare abitazioni permanenti in mare aperto ha trovato una sua incarnazione grazie al fondatore di PayPal – nonché sostenitore di Donald Trump – Peter Thiel, ma anche grazie a Patri Friedman, nipote dell’economista Milton Friedman, cui si deve l’idea del Seasteading.

Attualmente Thiel sembra non essere più coinvolto ufficialmente nell’ iniziativa e in questi giorni sembra aver cambiato idea sulle città galleggianti “Non sono esattamente fattibili da un punto di vista ingegneristico e quindi siamo ancora molto lontani dal vederle realizzate”. Ciò nonostante, il progetto continua. I commenti di Thiel sono arrivati proprio in concomitanza dell’annuncio da parte dell’Istituto di un accordo con il governo della Polinesia francese, al fine di esplorare i luoghi idonei alla creazione di isole sostenibili al largo della costa nel Pacifico.

Originariamente si pensava alla costruzione in acque internazionali, ora, l’accordo con la Polinesia francese richiederà all’istituto di produrre un’analisi ambientale ed economica ben prima che il progetto possa iniziare.

Il movimento degli seasteader attira chi ha uno spirito secessionista, ma allo stesso tempo creativo, ovvero andare a vivere in un luogo all’interno del quale nessun governo possa imporre limiti al progresso.

Ashley Blake è l’ambasciatore australiano – senza portafoglio – dello Seasteading Istitute e ha dichiarato: “Ho lavorato nel commercio di carbonio nel corso dei primi anni della mia carriera e ho visto moltissime imprese fallire per mezzo di un semplice segno con una penna apportato su una legge” riferendosi ai cambiamenti politici avvenuti in Australia che hanno fatto sì venisse abolita la tassa storica sulle emissioni di carbonio nel 2014, e continua: “Per alcune persone, la società non sta cambiando abbastanza velocemente, mentre per altre cambia di gran lunga troppo in fretta”.

Gli umani per loro natura sogneranno sempre di scoprire dei nuovi modi di vivere. Blake ha riconosciuto che la maggior parte di coloro che sono interessati a Seasteading sono degli uomini giovani, libertari. Ma Blake non gradisce poi così tanto questa etichetta: “Sono un fan delle buone idee. I libertari hanno alcune buone idee, ma non credo che le persone debbano poter vagare per le strade armate di pistola”.

A Blake piace pensare al progetto come ad una startup, ovvero un posto per testare nuove tecnologie e modi di vivere e in queste città si potrebbero sperimentare, ad esempio, dei nuovi modi per adattarsi al cambiamento climatico. Per molti, sarebbero soltanto dei paradisi fiscali dove poter evadere le tasse, anche a fronte di un impatto ambientale non indifferente.
Secondo Blake queste città potrebbero essere delle specie di imprese sociali, ovvero un’occasione per creare delle nuove società da zero, sulla base dei principi della tutela ambientale.


Una città tecno-libertaria fluttuante potrebbe sorgere nel Pacifico - Ultima modifica: 2017-04-06T12:00:19+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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