Global Tax: il G20 sigla il “Patto di Venezia” ma ci sono ancora nodi da sciogliere

Dopo anni di lavori dell’Ocse e il via libera del G7, è sotto la presidenza italiana del G20 che la tassazione con aliquota minima del 15% e la tassazione dei profitti delle multinazionali nei Paesi in cui operano arriva ad un accordo storico. La Global Tax, così definita in quanto “tassa globale”, con il “Patto di Venezia”, a cui hanno aderito 130 Paesi e giurisdizioni del mondo, rappresentativi del 90% del Pil globale, mette fine ai cosiddetti paradisi fiscali.

Tre Stati europei (guarda caso) Irlanda, Estonia e Ungheria, non hanno firmato l’accordo. Inoltre, la Francia preme perché l’aliquota minima sia alzata. Il 15% è poco sopra  a quella applicata, per esempio, in Irlanda (12,5%), tra i Paesi accusati di concorrenza sleale per attrarre le sedi delle multinazionali nel loro territorio.

Due i pilastri della global tax su cui è stata raggiunta l’intesa. Il primo, aliquota minima del 15% e imponibile applicato sui profitti nei Paesi in cui queste aziende operano. Il secondo pilastro è un po’ più tecnico e riguarda le multinazionali con ricavi oltre i 20 miliardi di dollari e un margine operativo, vale a dire la differenza tra i costi di produzione e i ricavi derivanti dalle vendite, superiore al 10% del fatturato.

Secondo quanto previsto dall’accordo, una porzione dei profitti di queste aziende, pari al 20-30% degli utili che eccedono il 10%, sarà tassato nei Paesi in cui quelle società realizza le vendite, al netto della sede nominale in qualunque paradiso fiscale.

Quanto peserà sulle Big tech la Global tax

Questo secondo pilastro, sottolineano i ricercatori dello European Network for Economic and Fiscal Policy Research, riguarda un numero molto più ristretto di multinazionali, 78. Il gettito stimato dall’istituto è di 87 miliardi di dollari complessivi. Quasi il 45% di questo totale (cioè 39 miliardi di dollari) sarà versato dalle Big tech americane: Amazon, Apple, Microsoft, Alphabet, Intel o Facebook da soli pagheranno circa 28 miliardi di dollari.

Proprio in virtù di questo “contributo” che daranno le grandi tech company degli Stati Uniti Washington ha chiesto di abolire le web tax approvate nel corso degli anni dai vari Paesi quando la global tax entrerà in vigore (probabilmente nel 2023). La Commissione europea, dal canto suo, congela i piani per la digital tax in attesa dell’approvazione finale della riforma fiscale internazionale a fine ottobre. Da parte sua il Regno Unito ha chiesto di esentare le aziende della City dall’applicazione delle nuove regole, poiché già soggette a un regime ad hoc.

Attualmente l’Italia perde annualmente circa 6,4 miliardi di gettito fiscale, che vanno invece in Paesi come Irlanda, Lussemburgo e Olanda dove le Big tech hanno stabilito le loro sedi grazie a una tassazione più favorevole.

“Il Patto di Venezia lascerà il segno”, chiosa il commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni sottolineando l’impegno della presidenza italiana del G20 e la spinta degli Usa: “il mondo è pronto a metter fine alla corsa al ribasso” delle tasse sulle multinazionali, dice la segretaria al Tesoro Janet Yellen.

Foto di Jeyaratnam Caniceus da Pixabay


Global Tax: il G20 sigla il “Patto di Venezia” ma ci sono ancora nodi da sciogliere - Ultima modifica: 2021-07-13T10:27:23+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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