Paola Bonomo: il ruolo dei business angel nel digitale

Paola Bonomo, oggi membro di Italian Angels for Growth, ha un passato in Vodafone, ebay, McKinsey & Company e in Facebook. Si è laureata in Economia Aziendale presso l’Università Bocconi e ha conseguito un Master in Business Administration a Stanford. “Studiare tanto è stato fondamentale – afferma Paola Bonomo – senza il Master a Stanford probabilmente non sarei stata contagiata dalla passione per il digitale. Senza frequentare l’Università Bocconi non avrei avuto l’opportunità di passare un periodo di scambio alla New York University e probabilmente non avrei intrapreso la professione della consulenza in McKinsey. E senza un buon liceo non avrei fatto nessuna di tutte queste cose”

di Ilaria Galateria

Qual è l’obiettivo primario di Italian Angels for Growth?

Paola Bonomo: È uno dei più grandi network di business angels italiani, composto da oltre 130 soci provenienti dal mondo imprenditoriale, finanziario, industriale e delle professioni. Insieme investiamo in startup fortemente innovative. Tenuto conto del bagaglio di competenze manageriali e tecnologiche dei nostri soci, non ci limitiamo ad apportare capitali in azienda, ma assumiamo anche un ruolo di investitori attivi, dando consigli, aprendo porte nel network. I nostri obiettivi sono supportare economicamente e incoraggiare chi è dotato di idee, conoscenza e dinamismo imprenditoriale; contribuire alla crescita economica del Paese e raggiungere in cinque anni una exit redditizia per gli angels.

Le qualità di un business angel?

Paola Bonomo: Deve saper entrare in sintonia con il team in cui ha deciso di investire. Lanciare una startup è fonte di grande tensione e stress per i fondatori, tanto più una volta che si raccolgono capitali e si hanno investitori esterni a cui rispondere; a ogni round di investimento, contrariamente a quanto si tende a pensare, il rischio e le responsabilità aumentano. Il team di imprenditori deve poter vedere nell’angel un’ancora di buon senso. L’angel, a sua volta, deve essere un punto di riferimento, a volte un coach, senza mai invadere lo spazio di azione dei fondatori.

Perché in Italia queste forme di venture capital sono ancora poco sviluppate?

Paola Bonomo: Distinguerei tra gli investimenti “seed ed early stage”, diciamo fino a un milione di euro, e quelli di venture capital vero e proprio. Ormai l’angel investing ha un discreto livello di maturità e fatica a trovare opportunità di investimento valide. Quello che finora è mancato è il venture capital, tant’è che quando una nuova impresa in forte crescita ha bisogno di raccogliere capitali per cinque/dieci milioni di euro, è normale che, se viene giudicata sufficientemente credibile, li raccolga all’estero.

Negli ultimi anni è aumentata la fiducia verso le startup italiane dell’IoT ma gli investitori rimangono ancora pochi. Perché?

Paola Bonomo: Per l’Internet of Things, a livello globale, siamo indietro nella definizione degli standard che possono far decollare il mercato. Inoltre, la sicurezza degli apparati e delle comunicazioni si è dimostrata ancora troppo lacunosa. In Italia i problemi sono quelli consueti del nostro ecosistema: avremmo una grande opportunità di reinventare il settore manifatturiero seguendo la visione della Industry 4.0, ma le startup fanno fatica a scalare e, soprattutto, le grandi aziende ad affidarsi a loro per ridisegnare i propri processi.

Quali sono i motivi più comuni che determinano il fallimento di una startup?

Paola Bonomo: Le startup sono fatte di persone. Meglio investire in un team fortissimo con un’idea imperfetta che in un team “normale” con un’idea perfetta. Determinante è il team. A sua volta questo dipende da due fattori, la qualità degli individui e la coesione tra le persone intorno al progetto.
Un recente sondaggio ha rilevato che la maggior parte delle figure tecnologiche sono ricoperte da uomini. Solo il 25% dei big data engineer sono donne e il 15% delle professioniste è esperta di IoT.

Come spiega questo fenomeno?

Paola Bonomo: La Commissione Europea ha realizzato varie proiezioni sulle posizioni che ci saranno da riempire nell’industria dell’Ict in Europa nel 2020 e questo numero, a seconda delle analisi, varia tra 500.000 e 800.000. Cresceranno quindi le opportunità per entrambi i sessi. Le donne però sono meno incuriosite dal digitale perché pensano serva solo a programmare videogiochi e spesso la scuola e la famiglia le spingono, in base a pregiudizi inconsapevoli, ma dannosissimi, in direzioni diverse. Dobbiamo invece aiutare le bambine e i bambini, sin dalla scuola dell’obbligo, a capire che il digitale è uno tra gli strumenti più potenti per cambiare il mondo, oltre che per avere una carriera di grande soddisfazione.

Una cosa in cui le ragazze sarebbero bravissime?

Paola Bonomo: La cybersecurity: consiglio ormai sempre di indirizzare i propri studi in questa direzione, in quanto offre opportunità di lavoro.

C’è un personaggio femminile a cui Paola Bonomo si ispira nell’ambito dell’innovazione?

Paola Bonomo: Per fortuna ce ne sono ormai più d’una, dalle star come Sheryl Sandberg di Facebook alle donne meno visibili ma che fanno un lavoro di grande esempio per tutte noi: Meg Whitman, Ceo di HP; Angela Ahrendts, Senior VP di Apple; Julia Hartz, fondatrice di Eventbrite; Natalia Oberti Noguera, fondatrice di Pipeline Angels.


Paola Bonomo: il ruolo dei business angel nel digitale - Ultima modifica: 2017-07-06T09:04:58+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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