È la natura la fonte di ispirazione primaria per robotica, tecnologie digitali e anche per le fibre del futuro. Ecco due progetti di ricerca condotti al Mit (Massachusetts Institute of Technology) che esplorano il mondo dei materiali e della produzione.
Fiberbot è una piattaforma digitale che combina la robotica cooperativa con la capacità di generare materiali sofisticati. La piattaforma consente di disegnare e produrre strutture anche su larga scala grazie a degli agenti robotici che “filano” il materiale. Del resto, la natura è sempre fonte di grande ispirazione per il mondo della robotica. In questo caso la tecnologia ha seguito l’esempio dei ragni, ma al posto di una ragnatela vengono prodotte fibre particolarmente forti e flessibili, filamenti in vetroresina. Anche altri organismi, come le api, le formiche e le termiti, cooperano per costruire rapidamente strutture molto più grandi di loro.
I Fiberbots sono uno sciame di 16 robot in grado di produrre attorno a sé tanti strati di filamenti e creare alte strutture tubolari. Possono essere parallele tra loro o intrecciate, in modo da formare rapidamente strutture architettoniche particolari.
I robot si muovono, utilizzano sensori per controllare il loro movimento, oltre che l’altezza e la curvatura di ogni singolo tubo. I designer e gli architetti riescono a impostare la produzione nel minimo dettaglio, anche a distanza, scegliendo forme e parametri della struttura in costruzione, senza necessariamente avere tutti i robot a portata di mano per fornire i comandi: un sistema centrale consente di gestirli tutti. Sviluppati internamente al Mit, i robot hanno costruito autonomamente una struttura alta 4,5 metri, che ha già trascorso senza problemi e senza rovinarsi un freddo inverno in Massachusetts, a dimostrazione della resistenza di questo filato futuristico e delle possibilità che apre.
In fatto di materiali innovativi, la designer Neri Oxman e un gruppo di ricercatori del Mit hanno sviluppato una piattaforma di fabbricazione digitale a base d’acqua utilizzando un polimero rinnovabile proveniente dall’oceano. Il processo combina un antico materiale derivato dai crostacei con la fabbricazione robotica e la biologia sintetica. Le costruzioni sono derivate biologicamente grazie a un sistema di estrusione a camere multiple robotizzato che deposita i compositi biodegradabili su diverse scale di lunghezza. Le applicazioni proposte per la fabbricazione digitale a base d’acqua includono prodotti riciclabili o componenti architettonici non permanenti, come le tende.
Il progetto, chiamato “Aguahoja”, è stato mostrato al pubblico con una serie di oggetti costruiti prendendo l’ispirazione da foglie ed elementi della natura, foreste e barriere coralline. Il processo di produzione non prevede scarti: “Questo oggetto è costruito con materiali organici, riutilizzabili più volte, stampati con un robot e formati grazie all’acqua, usando un approccio che facilita l’integrazione tra il materiale e la fabbricazione robotica” spiegano i ricercatori.
Le strutture sono costituite da un unico materiale derivato dalla chitina – il polimero rinnovabile più abbondante nell’oceano e il secondo più abbondante sul pianeta. Gusci di artropodi macinati vengono trasformati in chitosano, un derivato della chitina, per formare una soluzione acquosa di proprietà variabile. Questa viene quindi lavorata digitalmente e può cambiare a seconda di calore e umidità.
Nell’Aguahoja Pavilion i ricercatori hanno costruito una struttura alta cinque metri composta da biocompositi flessibili con proprietà meccaniche, chimiche e ottiche. È il risultato di anni di esplorazione e ricerca nel mondo dei materiali biocompositi. I pezzi esposti sono realizzati con chitosano, cellulosa, pectina e acqua.
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