Fake social education: non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te

Nell’autunno del 2017 molta parte del web ha scoperto i contest aziendali e lo ha fatto a causa – o grazie – a un video creato dalla direttrice della filiale Intesa Sanpaolo di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. Il caso del video diventato virale è un esempio di fake social education

Di Emanuela Zaccone**

La storia è semplice: il video della filiale Intesa Sanpaolo di Castiglione delle Stiviere, nato con l’obiettivo di essere diffuso esclusivamente intra azienda, è prima circolato via Whatsapp e poi finito su Facebook, dove è diventato virale. A quel punto ha dato origine ai soliti fenomeni che fanno da sfondo e nel contempo accrescono la narrazione intorno a vicende del genere: sono stati creati dei meme, si è fatta ironia sui personaggi (anche sugli assenti), sono fluiti fiumi di parole e giudizi sul video. Naturalmente ci sono state le solite polarizzazioni: chi si è indignato per come la direttrice di filiale e i suoi colleghi siano stati dileggiati e chi invece ha minimizzato con “fattela una risata”.
A me non interessa capire se il video sia ben fatto o meno, né riderci su né indignarmi. Mi interessa piuttosto ragionare su quella che potremo chiamare “fake social education”.
Sì perché sui social media si è diffuso questo atteggiamento da maestrina con la penna rossa (anche blu, nei casi più gravi) che deve spiegare a tutti come dovrebbero comportarsi, quando invece sarebbe auspicabile che la coscienza della responsabilità di ciò che condividiamo online parta prima di tuttoda noi.

Dalle maestrine ai bulli, le reazioni social

Il principio che muove solitamente le persone a commentare, condividere e pubblicare contenuti online è quello del “ciò che mi piace/coinvolge/turba è ciò che condivido”. Sacrosanto, praticamente un diritto, considerato che spendiamo gran parte del nostro tempo online, che lo facciamo sui social media e che siamo mossi dalla voglia di comunicare con gli altri per divertirci, sostenere le nostre idee o dialogare (in maniera più o meno animosa, ma questa è una storia a parte).
Il problema nasce quando non siamo disposti ad accettare le regole del gioco e subentrano ragionamenti del tipo: ma sì, tanto se la ridono tutti, i diretti interessati mica se la prendono. In realtà però la cosa è anche sfuggita di mano a tanti, che sono andati a cercare i profili dei protagonisti del video, in molti casi li hanno contattati e importunati. “Bullismo”, si è detto da più parti.

Social Education: Lezioni sul video Intesa Sanpaolo

Poi ci sono quelli che si sono cimentati nel dispensare lezioni a Intesa Sanpaolo sui canali social della banca, spiegando loro come avrebbero dovuto gestire la comunicazione interna, mentre da più parti a gran voce si gridava all’esigenza di una presa di posizione chiara da parte dell’azienda (che intanto aveva espresso solidarietà ai lavoratori).
Morale della storia: tutti hanno avuto qualcosa da commentare, insegnare o spiegare a qualcun altro.
Dagli esperti di social media e comunicazione aziendale a quelli di video, fino ai sommi motivatori pronti a elargire i segreti di un buon contest aziendale.
Praticamente pochissimi si sono fermati a pensare a cosa significherebbe se un proprio contenuto finisse su un canale come Facebook e centinaia di migliaia di sconosciuti si sentissero in diritto di esprimere la propria opinione.

3 regole di social education

Non è un problema di “mettiti nei loro panni” ma un principio di base che tutti dovremmo adottare sui social media.
Prima di commentare, condividere, diffondere qualcosa siamo certi che:
1) non urti la sensibilità delle persone coinvolte
2) ne conosciamo tutti i retroscena (applicato in un altro contesto è il principio di verifica che tanta parte gioca sul tema fake news)
3) crei valore per le persone con cui lo condividi?

Mentre si continua a dire che alla base della social education ci sia una limitazione nel loro uso (con il digital detox venduto come rimedio a tutti i mali), quel che manca è un’educazione al rispetto. L’accanimento – mosso dalla voglia di ridere o da quella di protestare – sembra imporsi come unico linguaggio in un contesto che dovrebbe invece reggersi sulle community e sul dialogo.

Allora, invece di fingere di essere educati all’uso dei social media andando a dare lezioni di comportamento alle aziende e ai loro dipendenti, cominciamo a dare il buon esempio come utenti.
A crear valore per le persone con cui condividiamo gli spazi. A generare dialoghi costruttivi.
C’è una distanza tra noi e la tastiera che abbiamo davanti, un tempo – anche se brevissimo – tra la decisione di premere il tasto condividi e l’azione in sé.
C’è sempre una distanza tra la nostra responsabilità e l’alibi del “lo condividono tutti”.

** Emanuela Zaccone: Digital Entrepreneur, co-founder e Marketing & Product Manager di TOK.tv. Ha oltre 10 anni di esperienza come consulente e docente in ambito social media analysis e strategy per grandi aziende, startup e università. È autrice di “Digital Entrepreneur: principi, pratiche e competenze per la propria startup” (Franco Angeli, 2016) e di “Social Media Monitoring: dalle conversazioni alla strategia” (Flaccovio, 2015).


Fake social education: non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te - Ultima modifica: 2017-12-16T09:16:02+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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