intelligenza artificiale

Europol ha raccolto in segreto dati su milioni di europei con l’AI: il programma che nessuno doveva scoprire

Europol ha sviluppato per anni un programma di intelligenza artificiale basato sulla raccolta massiva di dati su milioni di cittadini europei. Lo ha rivelato un’inchiesta di Computer Weekly e altre testate internazionali, portando alla luce un’iniziativa che va avanti da tempo ain segreto e senza adeguata supervisione democratica. L’agenzia di polizia europea ha utilizzato questi dati per addestrare algoritmi dedicati all’analisi predittiva e alla mappatura delle reti criminali, costruendo un’infrastruttura che solo ora diventa visibile al dibattito pubblico.

La raccolta dati di Europol con l’AI

Ciò che emerge dall’inchiesta non è semplicemente l’utilizzo di tecnologie avanzate da parte di un’agenzia di sicurezza, ma le modalità con cui questo programma è stato costruito. Secondo le fonti citate  si tratta di un sistema cresciuto con livelli minimi di trasparenza, alimentato da grandi quantità di dati non sempre collegati a indagini specifiche o a soggetti sospettati di reati.

Le informazioni raccolte sono eterogenee e spesso molto sensibili e confluiscono in un ecosistema di machine learning difficile da verificare dall’esterno. È questa dinamica di acquisizione indiscriminata a generare le maggiori preoccupazioni: non l’intelligenza artificiale in sé, ma il modo in cui è stata nutrita di dati provenienti da vari Stati membri, senza che esistesse un quadro di controllo chiaro e pubblicamente verificabile.

Europol, quando la sicurezza diventa sorveglianza

La giustificazione ufficiale dell’agenzia punta sulla necessità di strumenti avanzati per proteggere un’Europa sempre più interconnessa e vulnerabile alle minacce transnazionali. Eppure l’idea che un organismo sovranazionale possa integrare, correlare e analizzare dati su larga scala senza un quadro di trasparenza completo apre una frattura profonda nel rapporto tra sicurezza e libertà.

Quando un sistema raccoglie informazioni oltre quanto strettamente necessario, il rischio è reale: la tecnologia smette di servire la legge e inizia a trasformarsi in un’infrastruttura di controllo silenziosa e capillare. In questo scenario, la dissonanza tra tutela della collettività e diritti individuali diventa impossibile da ignorare.

I rischi nascosti: bias, errori e la profezia che si autoavvera

Considerare gli algoritmi come strumenti neutri è un’illusione che le cronache degli ultimi anni hanno già ampiamente smentito. Un modello predittivo riflette ciò che trova nei dati: squilibri, distorsioni, spazi vuoti. Se l’acquisizione è massiva ma non accuratamente filtrata, queste imperfezioni diventano parte integrante del processo e si moltiplicano lungo la catena decisionale.

È così che un errore può trasformarsi in una correlazione, una correlazione in una segnalazione, una segnalazione in un intervento operativo concreto. La storia della predictive policing ha già mostrato casi documentati in cui comunità specifiche venivano sovra-rappresentate nei modelli, amplificando bias preesistenti invece di correggerli. L’Europa non è immune da questi rischi, specialmente quando i sistemi si sviluppano lontano da audit indipendenti e meccanismi di verifica esterni.

Europol ha raccolto in segreto dati su milioni di europei con l’AI

Il nodo centrale della vicenda è la governance: un’intelligenza artificiale utilizzata da un’istituzione pubblica richiede una struttura di controllo rigida, multilivello, documentata e verificabile. Invece, questa inchiesta racconta di un programma cresciuto senza linee guida sistematiche, con documentazione incompleta e processi che non hanno attraversato il filtro della valutazione pubblica.

Non esistono dettagli chiari su quali dataset siano stati utilizzati, su quali criteri siano state effettuate le correlazioni, su come vengano gestiti gli errori o le segnalazioni false. Una scatola nera immersa nella struttura di un’agenzia che prende decisioni sensibili per la vita di milioni di cittadini e per la sicurezza degli Stati membri.

Il paradosso europeo: regolare l’AI mentre la si usa nell’ombra

La rivelazione arriva in un momento particolare, proprio mentre l’Unione Europea si propone come guida mondiale nella normativa etica sull’intelligenza artificiale, con un AI Act che punta a diventare il modello globale di governance tecnologica, scopre di dover fare i conti con una contraddizione interna evidente.

Il caso Europol mette in luce quanto sia complicato mantenere coerenza tra regolazione e pratica, tra principi dichiarati e operatività concreta. La tensione è evidente: come può un continente che ambisce alla leadership sulla trasparenza dell’intelligenza artificiale tollerare un programma così opaco all’interno di una sua stessa istituzione? È un interrogativo che chiama in causa non solo la tecnologia, ma la credibilità politica dell’Europa nel suo complesso.

Caso Europol, cosa significa per il futuro della democrazia digitale

Questa vicenda non è un incidente isolato, ma un punto di svolta che impone una riflessione più ampia. Le tecnologie che adottiamo oggi definiscono l’architettura del potere futuro: stabiliscono come verrà esercitata l’autorità, quali informazioni saranno considerate legittime, quanto spazio rimarrà alla discrezionalità umana e al controllo democratico.

Il caso Europol mostra che l’intelligenza artificiale non è un semplice acceleratore dell’innovazione, ma un moltiplicatore di capacità in grado di cambiare radicalmente il modo in cui una democrazia osserva, interpreta e classifica i suoi cittadini.


Europol ha raccolto in segreto dati su milioni di europei con l’AI: il programma che nessuno doveva scoprire - Ultima modifica: 2025-11-14T12:11:06+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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