Quando c’è il discorso del premier Giuseppe Conte delle 20.20 (ieri in leggero ritardo), come ormai da buona abitudine associata al 2020, vige grande fermento. L’attesa per scoprire cosa aspettarsi dalla tanto rumoreggiata Fase 2 del coronavirus era a dir poco viscerale. Ma la ripetuta parola “distanza sociale” caldeggiata dal premier non è mai stata associata all’app Immuni. Anzi non è mai stata proprio nominata. Cos’è successo? E’ scomparsa? O semplicemente non è stata minimamente citata perché c’è qualcosa che bolle in pentola. Può una discussone politica segreta sull’app Immuni aver tardato di fatto la Fase 2?
Perché parliamoci chiaro. Questa Fase 2 è decisamente una Fase 1 con leggera elaborazione se vogliamo usare un termine motoristico. Un lockdown allentato. Apertura ai parchi ma niente comunella, nuova autocertificazione per circolare e sempre per comprovati motivi con spostamento nella regione (abbattuta la clausola comuni) e attività manifatturiera che riparte. Negozi ancora chiusi, bar, ristoranti e comparto estetico non se ne parla fino a giugno. Insomma qualche amaro in bocca ai più è rimasto.
E l’app Immuni (qui come funziona) che doveva ridarci più libertà di movimento dov’è finita? Sparita dai radar. Come riporta Repubblica.it c’è una fondata possibilità del perché questo. Sarebbe in corso una discussione all’interno del governo, fra i ministri, fra le diverse task force. Un dibattito che per ora ha bloccato lo sviluppo dell’app e che è il motivo per il quale la Fase 2 non è ancora davvero iniziata.
La grossa battaglia sui cui ci si sta interrogando è sul rapporto Stato e cittadini. La linea della volontarietà si sta scontrando con quella dell’obbligatorietà. Se l’app Immuni non viene scaricata dalla maggior parte degli italiani (si dice almeno il 60%) non sarà mai funzionale. L’app difatti usando la tecnologia bluetooth (e non gps) non geolocalizza un cittadino che potrebbe aver contratto il coronavirus. Avvisa solamente con un alert, una volta che i due smartphone si incrociano, quanto ci si sia avvicinati ad una persona potenzialmente contagiata che a sua volta inserirà nell’app la possibilità che ci sia stato contagio.
Per risolvere il problema obbligatorietà si starebbe pensando alla soluzione Apple e Google. I due colossi assieme controllano quasi la totalità del mercato degli smartphone. Il 10 aprile hanno deciso di collaborare per far dialogare i rispettivi sistemi bluetooth e venerdì scorso hanno presentato una serie di innovazioni che rendono lo scambio di questo codice non solo anonimo, ma anche cifrato, con un nuovo sistema di cifratura avanzatissimo. Impossibile, dicono, risalire all’identità dei possessori degli smartphone.
Rimane un problema. Una volta al giorno tutti gli smartphone interrogherebbero un server del ministero della Salute. Codici degli smartphone inseriti e li si verifica se uno di quei numeri corrisponde ad uno dei codici che hai sullo smartphone. Poiché vuol dire aver avuto un contatto potenzialmente pericoloso. A quel punto si riceve un messaggio. E a quel punto il cittadino allertato dovrebbe mettersi in isolamento in attesa del tampone. Semplici precauzioni dovute al buon senso o lo Stato dovrebbe imporglielo? Perché a quel punto lo Stato conoscerebbe chiaramente l’identità del cittadino se invia un alert con SMS. Ma per conoscere l’identità dei destinatari, allora la soluzione mondiale Apple-Google decade. Non è prevista. Questo è il nodo. Mantenere la privacy in ogni caso o rendere l’app più invasiva? Il finale porterebbe a pensare ad una Fase 2 decisamente rallentata.
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