ChatGPT è diventato in pochi anni uno degli strumenti digitali più diffusi al mondo, simbolo di un’intelligenza artificiale che non è più confinata ai laboratori o agli uffici degli sviluppatori, ma entra nella vita quotidiana di milioni di persone. Il recente studio pubblicato dal National Bureau of Economic Research (NBER), firmato insieme a ricercatori di OpenAI e università come Harvard e Duke, offre la prima analisi sistematica su larga scala dell’uso effettivo di ChatGPT. Il titolo è semplice e diretto, How People Use ChatGPT, ma i dati che contiene ridisegnano le percezioni più comuni.
Il rapporto si basa su un campione di oltre 1,5 milioni di conversazioni, raccolte tra maggio 2024 e luglio 2025, con un’attenzione rigorosa alla privacy: nessun ricercatore ha mai letto direttamente i messaggi, che sono stati classificati in modo automatico tramite modelli linguistici. Si tratta quindi del primo lavoro che utilizza i dati interni di ChatGPT in maniera sistematica e con approccio scientifico.
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La prima evidenza riguarda i numeri di utilizzo, che confermano l’impressione di trovarsi di fronte a un fenomeno unico. Lo studio ricorda che “ChatGPT aveva più di 100 milioni di utenti attivi settimanali dopo un anno, quasi 350 milioni dopo due anni e oltre 700 milioni alla fine di luglio 2025, pari a circa il 10% della popolazione adulta mondiale”.
In termini di messaggi scambiati, il ritmo è impressionante: “più di 2,5 miliardi di messaggi al giorno, circa 29.000 al secondo” nello stesso periodo. Nessun’altra tecnologia digitale, scrivono gli autori, si è diffusa con questa velocità. Non si tratta soltanto di nuove adesioni, ma anche di un aumento nell’uso da parte di chi era già iscritto. I primi utenti, infatti, hanno progressivamente intensificato le interazioni, “scoprendo nuovi casi d’uso man mano che le capacità del modello miglioravano”.
Se da un lato ChatGPT è nato anche come strumento di produttività, dall’altro la sua crescita ha dimostrato una vocazione più ampia. Nel giugno 2024, circa il 53% dei messaggi non era legato al lavoro; un anno dopo la quota era salita al 73%. Lo studio sottolinea: “circa il 70% delle query consumer di ChatGPT non era legato al lavoro a luglio 2025”.
In termini assoluti, anche i messaggi professionali sono cresciuti, ma a una velocità inferiore rispetto a quelli di natura personale. È un dato cruciale perché ribalta un luogo comune: ChatGPT non è usato principalmente da programmatori o professionisti tech, ma dalla popolazione generale per affrontare problemi, dubbi, necessità quotidiane. La produttività rimane un ambito importante, ma la scala dell’uso personale è addirittura maggiore.
I ricercatori hanno scelto di classificare le interazioni secondo l’intento dell’utente, distinguendo tra Asking, Doing ed Expressing. Questa tassonomia semplice ma potente racconta bene l’ampiezza degli usi. “Circa il 49% dei messaggi sono Asking, il 40% Doing e l’11% Expressing”.
Asking significa porre domande, cercare chiarimenti, ottenere informazioni per prendere decisioni. Doing è invece la richiesta di un output concreto: scrivere un testo, tradurre un documento, redigere un piano di progetto. Expressing, infine, riguarda l’espressione personale, riflessioni e interazioni non finalizzate a un compito pratico. Nel lavoro, il Doing domina, rappresentando il 56% dei messaggi professionali, e quasi tre quarti di questi riguardano la scrittura.
L’analisi dei topic evidenzia tre grandi aree che da sole raccolgono quasi l’80% delle conversazioni: guida pratica, ricerca di informazioni e scrittura.
Sorprende la marginalità della programmazione, che pure ha reso celebre ChatGPT negli ambienti tech: solo il 4,2% dei messaggi riguarda il coding. Anche i messaggi di tipo emotivo o relazionale sono una minoranza: 1,9% legati a riflessione personale, 0,4% a giochi di ruolo.
Il profilo demografico degli utenti mostra come ChatGPT sia passato da fenomeno elitario a strumento di massa. All’inizio il pubblico era fortemente sbilanciato: “nei primi mesi circa l’80% degli utenti aveva nomi tipicamente maschili, ma a giugno 2025 la quota era scesa al 48%, con una leggera prevalenza di nomi femminili”.
Il divario di genere si è quindi chiuso, anzi invertito, segnalando una diffusione più equilibrata. Dal punto di vista anagrafico, i giovani sono protagonisti: il 46% dei messaggi proviene da utenti tra i 18 e i 25 anni. Tuttavia, la quota di messaggi professionali cresce con l’età, passando dal 23% sotto i 26 anni a quasi il 50% tra i lavoratori più esperti.
A livello geografico, la crescita è stata più rapida nei paesi a basso e medio reddito che in quelli ricchi, segno che ChatGPT si diffonde come strumento di accesso alla conoscenza anche in contesti meno favoriti. “Molti paesi con reddito medio-basso hanno registrato tassi di adozione altissimi tra il 2024 e il 2025”.
Quando viene usato professionalmente, ChatGPT si concentra soprattutto su attività legate all’informazione e al supporto decisionale. Lo studio utilizza la tassonomia del database O*NET del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, mostrando che “quasi l’81% dei messaggi di lavoro è associato a due grandi attività: ottenere, documentare e interpretare informazioni, e prendere decisioni, dare consigli, risolvere problemi, pensare creativamente”.
In altre parole, ChatGPT non è solo uno strumento per scrivere meglio o più velocemente, ma una piattaforma che amplifica la capacità di giudizio e la creatività nei contesti knowledge-intensive. “ChatGPT migliora l’output dei lavoratori fornendo decision support, particolarmente importante nei lavori intensivi di conoscenza dove una decisione migliore equivale a più produttività”.
L’impatto economico di ChatGPT non si misura solo in termini di produttività aziendale. Secondo i ricercatori, gli utenti consumer attribuiscono un valore enorme all’uso personale. “Gli esperimenti di scelta stimano un surplus dei consumatori di almeno 97 miliardi di dollari nel solo 2024 negli Stati Uniti”.
Una cifra che riflette non solo il tempo risparmiato, ma il miglioramento percepito della qualità delle decisioni e delle informazioni ottenute. In altre parole, l’AI non produce valore solo per le imprese, ma anche per la vita quotidiana delle persone comuni.
Dai dati emergono alcune tendenze che indicano la direzione futura. La crescita del Seeking Information suggerisce che la conversazione potrebbe sostituire progressivamente la ricerca tradizionale. L’ambito educativo è già rilevante: il 10% dei messaggi riguarda il tutoring, con implicazioni notevoli per la formazione. L’espressione personale e il supporto emotivo restano marginali, ma la loro quota è in crescita, e modelli più empatici potrebbero amplificarne l’uso in contesti terapeutici. Infine, la rapida diffusione nei paesi emergenti fa pensare che per molti cittadini ChatGPT possa diventare il primo vero strumento digitale avanzato accessibile su larga scala. Il report del NBER è la prima prova oggettiva e su larga scala di come venga usato ChatGPT. E la risposta sorprende: non principalmente per programmare o per lavoro, ma come compagno quotidiano per informarsi, scrivere, prendere decisioni. Lo studio mostra che i guadagni di benessere derivanti dall’uso non lavorativo “possono essere sostanziali, forse persino superiori all’impatto sul lavoro retribuito”. In questo senso, ChatGPT appare come un copilota cognitivo universale, capace di ridurre disuguaglianze nell’accesso alla conoscenza e di ampliare le possibilità individuali. Non un sostituto delle persone, ma un acceleratore di capacità umane.
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