Il governo cinese ha ordinato ai nuovi centri dati statali e finanziati dallo Stato di utilizzare esclusivamente chip per l’intelligenza artificiale di produzione nazionale. La direttiva, confermata da fonti a Reuters, arriva nel pieno delle tensioni tecnologiche con gli Stati Uniti e impone la rimozione o l’annullamento degli ordini di componenti stranieri — in particolare dei chip NVIDIA, AMD e Intel — nei progetti ancora in costruzione. La mossa segna un cambio di rotta netto nel controllo delle infrastrutture digitali e ridisegna la mappa geopolitica della tecnologia. Nasce una Muraglia cinese del Silicio.
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By 維基小霸王 – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=107112815
L’obiettivo dichiarato è ridurre la dipendenza da fornitori occidentali e favorire la crescita di produttori locali come Huawei, Cambricon e Birentech, protagonisti di un piano di autosufficienza tecnologica accelerato dopo le restrizioni imposte da Washington.
Secondo quanto riportato da Reuters, la nuova regola riguarda tutti i progetti di data center pubblici che non abbiano ancora superato il 30 % di completamento: dovranno eliminare o sostituire qualsiasi chip straniero.
Un funzionario del Ministero dell’Industria e dell’Information Technology di Pechino, citato dal quotidiano statale Global Times, ha dichiarato:
«L’AI è un’infrastruttura critica. Non possiamo basare la nostra sicurezza digitale su chip progettati altrove. È una questione di sovranità, non di mercato».
Dietro la mossa, un calcolo preciso: i chip di fascia alta come NVIDIA A100 e H100 restano soggetti ai limiti dell’export americano, e il governo cinese vuole prevenire un blocco dell’accesso alle proprie infrastrutture più strategiche.
Di Gage Skidmore, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=163850777
Dall’altra parte del Pacifico, la risposta di Washington non si è fatta attendere. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha commentato la decisione di Pechino definendola “un ulteriore passo verso la frammentazione dell’ecosistema tecnologico globale”:
«Non intendiamo vendere i chip più avanzati alla Cina in questo momento, ma è evidente che questa scelta riflette una logica politica più che industriale».
Anche Jensen Huang, CEO di NVIDIA, ha espresso preoccupazione in un’intervista a CNBC:
«La Cina rappresentava oltre il 20 % della nostra domanda globale di GPU. Una chiusura di quel mercato può rallentare l’innovazione su scala mondiale».
Dietro le dichiarazioni ufficiali, emerge la consapevolezza che la corsa ai chip non è solo una competizione economica, ma una battaglia per la leadership dell’intelligenza artificiale, il “petrolio digitale” del XXI secolo.
Nel 2022, i produttori americani controllavano il 95 % del mercato cinese dei chip Ai. Oggi quella quota si riduce drasticamente, con ricadute non solo in Asia ma anche in Europa. I tempi di approvvigionamento, la compatibilità software e i costi di integrazione rischiano di cambiare per chi — come molte PMI italiane — dipende da architetture NVIDIA o AMD per i propri progetti di automazione o analisi dati.
Secondo un’analisi di Investing.com, il divieto potrebbe accelerare la frammentazione della supply chain: i produttori occidentali dovranno cercare nuovi mercati, mentre quelli cinesi troveranno incentivi per scalare più rapidamente.
Un dirigente europeo del settore semiconduttori, citato in forma anonima, osserva:
«Se si dividono i mondi dell’hardware, si dividono anche gli standard del software. Rischiamo un’AI a due velocità, una occidentale e una orientale».
Per le PMI, questo significa doversi muovere con maggiore prudenza nella scelta dei fornitori e delle piattaforme hardware: la compatibilità e la resilienza tornano a essere parole chiave.
Gli analisti notano che la Cina, pur avanzando nella produzione di chip, resta indietro sul fronte del software, dove gli strumenti di programmazione, librerie e framework — spesso americani o open-source globali — sono ancora fondamentali.
«Produrre il chip è solo metà dell’opera», ricorda Andrew Ng, docente di Stanford e pioniere dell’apprendimento automatico. «Serve un ecosistema software maturo. Senza quello, le prestazioni rimangono teoriche».
Nel frattempo, i colossi tecnologici cinesi stanno cercando di colmare il divario. Huawei ha annunciato che i propri chip Ascend 910B potranno essere impiegati per addestrare modelli di linguaggio di grandi dimensioni (LLM) interamente “made in China”.
Ma la strada resta lunga: come evidenzia Fastbull, i chip locali mancano ancora di un ecosistema di sviluppo competitivo rispetto a CUDA, la piattaforma software di NVIDIA, che domina il settore da oltre un decennio.
Sebbene la disputa sembri lontana, le sue onde d’urto arrivano anche nelle sale server europee. Le aziende che oggi adottano soluzioni di intelligenza artificiale devono considerare non solo le performance tecniche ma la provenienza e la stabilità dell’hardware su cui poggia la loro infrastruttura.
Come osserva Paolo Ainis, analista di mercato presso IDC Italy:
«Il tema della sovranità tecnologica tocca anche noi. Ogni azienda dovrebbe chiedersi: se una parte della mia catena digitale domani si interrompe per ragioni geopolitiche, quanto sono pronta a reagire?».
Il messaggio di Pechino è chiaro: la tecnologia è ormai diplomazia e i chip sono i suoi ambasciatori. Perché nell’era dell’AI, non è solo questione di calcolo: è questione di fiducia.
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