Ilaria Tagliavini, responsabile operations di EIT
Budapest è la città dei ponti: Ponte delle Catene, Ponte Margherita, Ponte Elisabetta, Ponte della Libertà e poi i ponti Árpád, Petőfi, Rákóczi, Közvágóhídi.
Una connessione continua tra i nuclei di Buda e Pest, il Danubio che scorre, più largo di quanto la fantasia possa immaginarlo.
A Budapest i ponti non sono solo infrastrutture, sono un modo di pensare, la rappresentazione plastica e pratica di connessioni. Ogni ponte nasce per superare una distanza: geografica, economica, sociale. Serve a rendere attraversabile ciò che prima separava e Budapest diventa, così, una metafora potente dell’innovazione europea.
L’innovazione, quando funziona davvero, è sempre un ponte: tra ricerca e mercato, tra scuola e impresa, tra idee brillanti e capacità realizzativa, tra Paesi diversi, culture diverse, regolamenti diversi. Esattamente come l’Europa: un continente che non può permettersi muri, perché vive solo se costruisce connessioni.
Non è un caso se proprio qui, a Budapest, si siano tenuti gli EIT Innovation Awards. Un evento che non celebra solo tecnologie o startup, ma connessioni riuscite: idee che hanno trovato il modo di passare dal laboratorio alla società, dal progetto pilota al mercato, dalla dimensione locale a quella europea, ponti, appunto, fatti di innovazione.
L’EIT stesso è un grande ponte istituzionale: tra università, centri di ricerca, imprese, investitori e policy maker, non un semplice erogatore di fondi, ma un costruttore di ecosistemi, che lavora dove il terreno è più fragile: l’early stage, la frammentazione dei mercati, l’imprenditorialità, il gender gap che ancora non si riduce.
È in questo scenario che abbiamo incontrato Ilaria Tagliavini, responsabile Operations di EIT, una delle figure chiave dell’European Institute of Innovation and Technology. La sua visione parte da una consapevolezza semplice e radicale: l’Europa non ha bisogno di copiare altri modelli, ma di collegare meglio ciò che già possiede: talento, valori, competenze, diversità.
Come i ponti di Budapest, che non cancellano il Danubio ma lo rendono attraversabile, l’innovazione europea non deve negare la complessità, deve imparare ad abitarla. Da qui nasce l’intervista che segue: un viaggio tra competitività, educazione, imprenditorialità, inclusione e costruzione di pipeline dell’innovazione.
Ponte Delle Catene Budapest
In Europa c’è ancora un gap culturale sull’imprenditorialità rispetto agli Stati Uniti?
Ilaria Tagliavini:
Sì e credo che sia un tema chiave se parliamo di competitività. È fondamentale fare un salto di qualità: l’Europa ha eccellenze straordinarie in università, ricerca, scuola. Abbiamo percorsi educativi di altissimo livello, ma dobbiamo riuscire a unirli davvero con la parte imprenditoriale. Il tema non è solo “studiare bene”: è trasformare conoscenza e tecnologia in impresa, in mercato, in crescita e questa connessione, storicamente, in Europa è più debole che altrove.
Ilaria Tagliavini, responsabile operations di EIT
Lei collega questo tema anche al gender gap. Da dove si comincia, concretamente?
Ilaria Tagliavini
Si comincia da subito. Se vogliamo una forza lavoro futura in cui le donne siano una componente fondamentale, soprattutto in settori come alta tecnologia, intelligenza artificiale, deep tech, dobbiamo ispirare le ragazze sin da giovanissime. Ispirare non significa solo dare contenuti, significa mostrare modelli reali: donne che sono venture capitalist, business angel, founder di startup. Perché per una ragazza vedere che “sì, è possibile” è spesso l’elemento che cambia tutto. Girls Go STEM lavora anche per questo: non solo contenuti, ma connessioni e role model.
Nel programma Girls Go STEM, oltre all’imprenditorialità, quali competenze e caratteristiche vanno trasmesse alle nuove generazioni?
Ilaria Tagliavini
Prima di tutto: i contenuti STEM devono essere presentati in modo user-friendly e adatto a ragazze e ragazzi di quell’età. È un lavoro enorme, perché non basta avere contenuti “giusti”: bisogna trovare il format giusto. Le modalità di apprendimento sono cambiate moltissimo rispetto a quelle che avevamo noi: la soglia di attenzione è più bassa, la capacità di interiorizzare contenuti è diversa. Per questo i format educativi devono evolvere: più moderni, multidisciplinari, capaci di attrarre e tenere i ragazzi, di farli apprendere più velocemente. C’è poi un effetto a catena: se inizi a formare bene prima, questo influenza anche l’università. Può aumentare l’affluenza, ma soprattutto può plasmare persone con competenze imprenditoriali più spiccate e una continuità tra scuola superiore e università, riducendo quel gap che oggi contribuisce anche al tasso di abbandono universitario.
A proposito di università: in Italia c’è un dato “perfetto” sulla parità di genere nelle iscrizioni. Ma poi qualcosa si rompe dopo.
Ilaria Tagliavini
Sì, e infatti bisogna guardare almeno due cose. Primo: il tasso di abbandono, cioè quante donne arrivano davvero fino in fondo e perché. Secondo: cosa succede dopo, sul mercato del lavoro. Ci sono donne che rinunciano al lavoro perché scelgono la famiglia; altre che, pur avendo scelto una carriera, non riescono ad accedere ai ruoli e ai settori che desideravano e sono costrette a ridurre le ambizioni. Queste dinamiche derivano da fattori diversi, ma collegati. C’è ancora una barriera culturale, e in parte è anche interiorizzata: “non si può fare tutto”, “le due cose non vanno insieme”. Poi c’è il tema del supporto: servizi come asili nido, infrastrutture, sussidi, tempi prolungati. E c’è la pressione sociale: l’aspettativa che sia soprattutto la donna a seguire i figli. Infine, c’è un tema di opportunità reali e di bias: a parità di competenze, ancora oggi capita che qualcuno scelga un uomo perché percepisce “meno rischi” futuri legati a maternità, part-time, gestione familiare. È un circuito che si autoalimenta: cultura e conseguenze si rinforzano a vicenda.
Se la cultura richiede tempi lunghi, dove si può intervenire subito?
Ilaria Tagliavini
Continuare a lavorare da subito sulle nuove generazioni è fondamentale, perché crea cambiamento strutturale, ma ci sono anche azioni dirette: i paesi devono creare condizioni di supporto per famiglie e lavoro; poi c’è un ambito in cui strumenti come EIT possono agire in modo molto concreto: formazione e supporto alle donne nei settori dell’innovazione, un esempio a cui tengo molto è Supernovas.
Che cos’è Supernovas e perché lo considera così importante?
Ilaria Tagliavini
Supernovas è un programma EIT portato avanti insieme a tutte le KIC (Knowledge and Innovation Communities). È dedicato a formare donne nel settore del business angel e del venture capital, e allo stesso tempo a sostenere startup fondate da donne. Parliamo di un programma “piccolo” in termini di funding rispetto ad altre iniziative europee: circa tre milioni di euro in tre anni (un milione l’anno). Ma l’impatto è stato enorme: migliaia di donne formate come business angel e venture capital, e circa 200 startup fondate da donne supportate. A volte con pochi mezzi si può generare un impatto fortissimo se l’iniziativa è centrata e ben costruita. E si vede anche dal fatto che il tema è sempre più presente: oggi stesso, agli Innovation Awards, uno dei pitch iniziali era focalizzato su una piattaforma dedicata a business angel e venture capital femminili per supportare startup fondate da donne.
Lei ha detto una cosa forte: non è convinta delle “quote rosa”, ma crede nel dare voce.
Ilaria Tagliavini
Sì. Non sono mai stata convinta delle quote rosa: trovo strana l’idea che una persona “debba” avanzare per una categoria e non per merito. Ma quello quello che facciamo noi con Supernovas e Girls Go STEM, è diverso: è creare opportunità e visibilità.
Finché non saremo arrivati a un equilibrio vero, a una parità naturale, bisogna creare momenti, occasioni, spazi in cui far emergere competenze che altrimenti resterebbero invisibili. Se nessuno le vede, è come se non esistessero.
A questo punto entra in gioco la natura di EIT: non solo finanziatore, ma “ecosystem builder”. Che cosa significa davvero?
Ilaria Tagliavini
Significa che EIT è prima di tutto un costruttore di network. È ciò che lo differenzia da strumenti in cui c’è un ente con un budget che, tramite call, seleziona beneficiari e finanzia. Anche noi abbiamo budget e lo investiamo, certo. Ma il nostro lavoro è diverso: siamo catalizzatori. L’Europa è frammentata: 27 paesi, regole diverse, culture diverse. E quindi abbiamo bisogno più di chiunque altro di creare un network cross-border. EIT nasce con questa missione: costruire un ecosistema che prima non esisteva.
Io lo chiamo anche “l’entità che alimenta la pipeline dell’innovazione europea”, perché lavoriamo sull’early stage. I nostri ticket sono relativamente piccoli — tipicamente tra 50.000 e 200.000 euro — ma distribuiti su molte realtà. E soprattutto, oltre al funding, offriamo ciò di cui una startup ha disperatamente bisogno: contatti, partner, clienti, accesso a corporate, e possibilità di internazionalizzare. Hai una startup italiana e vuoi entrare nel mercato tedesco o francese? Ti aiutiamo perché siamo presenti anche lì. Ti serve una grande corporate che faccia da cliente e testi il tuo prodotto? Te la mettiamo in contatto perché è nel network. Questa parte è insostituibile, soprattutto in Europa.
Lei usa un paragone molto efficace: Walmart.
Ilaria Tagliavini
Sì, è un esempio che rende subito l’idea. Quando lavoravo in una società americana di venture capital, se riuscivamo a far chiudere a una startup un contratto con Walmart, era come vincere al superenalotto: il giorno dopo eri in 9.000 punti vendita, visibile a 300 milioni di persone. In Europa, quanti contratti ti servono per arrivare a quella scala? Spesso più di 27, perché anche dentro un singolo paese non hai un mercato uniforme come negli Stati Uniti. Questa è la sfida: il single market è l’obiettivo, ma è più facile dirlo che farlo.
Ilaria Tagliavini, responsabile operations di EIT
Qual è, allora, la direzione in cui EIT si muove oggi?
Ilaria Tagliavini
EIT supporta le priorità politiche della Commissione Europea. Siamo attivi su diverse policy priorities, in particolare sulla Startup and Scaleup Strategy. Da un lato, abbiamo un mandato sulle entrepreneurial skills: implementare competenze imprenditoriali nei settori di riferimento e per diverse target audience. Dall’altro, la collaborazione cross-border: la nostra presenza nei 27 paesi, con oltre 70 hub e 10 KIC, è un’infrastruttura concreta per collegare ecosistemi, startup e opportunità.
L’Europa può davvero trovare una sua strada, senza copiare gli Stati Uniti?
Ilaria Tagliavini
Io ci credo e credo che la potenzialità dell’Europa sia enorme, anche perché abbiamo un patrimonio unico: stato sociale, cultura, valori, priorità di vita. Con tutto il rispetto e l’ammirazione per la cultura americana, sul piano di welfare e qualità della vita io non farei mai a cambio. Abbiamo basi valoriali fortissime. Ma dobbiamo trovare una via europea alla competitività: non possiamo scimmiottare gli americani. Possiamo prendere ciò che di buono c’è, certo, ma serve una nostra strada. Io spero davvero che riusciremo a trovarla.
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