intelligenza artificiale

L’AI ti farà guadagnare di più o ti sostituirà? I 3 futuri possibili (e quale ti riguarda)

C’è un grande paradosso nel successo dell’AI, si diffonde, coinvolge ampi strati della popolazione e del tessuto aziendale, ma i miglioramenti della produttività sono modesti, alla fine.  Nel 2025, il 54,6% degli adulti tra i 18 e i 64 anni utilizza l’intelligenza artificiale generativa (dati USA), con un aumento di 10 punti percentuali negli ultimi 12 mesi. eppure, i guadagni di produttività rimangono sorprendentemente modesti, non solo. A livello aziendale va anche peggio, secondo le stime del Fondo Monetario internazionale i progetti di AI portano ad un aumento della produttività delle imprese dell’1% in 5 anni.

Questa discrepanza solleva una domanda fondamentale: quando l’AI inizierà finalmente a generare significativi risparmi sui costi e vantaggi competitivi per le aziende, come verranno utilizzati questi guadagni? Le imprese investiranno in salari più alti e condizioni di lavoro migliori, o i benefici si concentreranno altrove?

I dati contrastanti sulla produttività dell’AI

Prima di esplorare gli scenari futuri, è essenziale comprendere la realtà attuale. I dati sulla produttività dell’AI nel 2025 dipingono un quadro complesso e talvolta contraddittorio.

I dipendenti che utilizzano l’AI riportano un aumento medio della produttività del 40%, e il 77% dei dirigenti di alto livello conferma un miglioramento di produttività derivante dall’adozione dell’AI nell’ultimo anno. Secondo l’OCSE, le persone che lavorano nell’assistenza clienti, nello sviluppo software o nella consulenza hanno registrato incrementi medi di produttività dal 5% a oltre il 25%.

I lavoratori che utilizzano l’intelligenza artificiale generativa hanno riferito di aver risparmiato il 5,4% delle loro ore di lavoro riferito alla settimana precedente senza l’utilizzo di AI, il che suggerisce un aumento dell’1,1% della produttività per l’intera forza lavoro. Proiettando questi dati, si stima che l’AI aumenterà la produttività e il PIL dell’1,5% entro il 2035, quasi del 3% entro il 2055 e del 3,7% entro il 2075.

Gli aspetti controversi sulla produttività dell’AI

Tuttavia, non tutti gli studi confermano questa narrativa ottimistica. Una ricerca randomizzata controllata su 16 sviluppatori open source esperti ha rilevato che, quando utilizzano strumenti AI, impiegano il 19% di tempo in più rispetto a quando non li utilizzano. Gli sviluppatori avevano previsto un risparmio di tempo del 20%, ma la realtà si è rivelata opposta: https://arxiv.org/abs/2507.09089 studio di Joel BeckerNate RushElizabeth BarnesDavid Rein.

L’impatto dell’AI sulla crescita della produttività TFP (Total Factor Productivity) rimane oggi molto ridotto:0,01 punti percentuali nel 2025 , poiché la maggior parte delle aziende deve ancora implementare e acquisire esperienza con gli strumenti AI. Questa discrepanza illustra quella che Erik Brynjolfsson del MIT chiama la “curva a J della produttività”: inizialmente, le tecnologie per scopi generali come l’AI possono portare a una crescita della produttività misurata più bassa, che poi rimbalza quando gli investimenti immateriali iniziano a dare frutti.

Tre scenari per il futuro: dove andranno i vantaggi dell’AI?

Quando l’AI inizierà a generare risparmi significativi e vantaggi competitivi, le aziende si troveranno di fronte a scelte cruciali su come allocare questi benefici. Tre scenari principali emergono dall’analisi economica e dalle previsioni degli esperti.

Scenario 1: redistribuzione ai lavoratori – salari più alti e migliori condizioni

Il primo scenario, forse il più auspicabile ma anche il più incerto, prevede che i guadagni di produttività si traducano in salari più elevati e condizioni di lavoro migliorate.

La visione Ottimistica di David Autor

David Autor del MIT, uno dei più influenti economisti del lavoro, ha proposto una visione in cui l’AI potrebbe “democratizzare l’expertise d’élite” e ridurre la disuguaglianza.

Quando si dice che l’AI “democratizza l’expertise d’élite”, si sta raccontando un cambio di prospettiva enorme, quasi invisibile mentre accade, perché per decenni abbiamo vissuto in un mondo in cui le competenze più rare (quelle che facevano davvero la differenza ) erano custodite da poche persone, create in anni di studio, passione, fatica. Una sorta di aristocrazia del sapere: il programmatore senior capace di leggere un codice come fosse musica, l’avvocato che individua il rischio nascosto in una clausola, l’analista che vede uno scenario dove gli altri vedono solo numeri. L’intelligenza artificiale rompe questo schema.
Non perché svaluti il talento, ma perché porta nel quotidiano delle persone comuni una parte di quella competenza rara. È come avere accanto, sempre, qualcuno che ha già visto migliaia di casi, che conosce le eccezioni, che intuisce il metodo. Una sorta di consigliere silenzioso, disponibile 24 ore su 24.

In questo senso, “democratizzare l’expertise d’élite” significa allargare il cerchio di ciò che possiamo fare, anche senza essere esperti. Significa rendere accessibile a molti ciò che era riservato a pochi.

La tecnologia non solo può accelerare questi processi e liberare tempo per compiti più complessi, ma può anche ampliare l’accesso a chi può eseguirli, con le persone meno esperte o meno qualificati che tendono a registrare i maggiori guadagni di produttività quando utilizzano strumenti di AI generativa.

Le condizioni necessarie

Secondo la ricerca economica, affinché questo scenario si realizzi, sono necessarie diverse condizioni. Daron Acemoglu, premio Nobel per l’economia 2024, sottolinea che “i salari difficilmente aumenteranno quando i lavoratori non possono spingere per ottenere la loro quota di crescita della produttività. Oggi, l’intelligenza artificiale può aumentare la produttività media, ma può anche sostituire molti lavoratori degradando la qualità del lavoro per coloro che rimangono occupati”.

Perché i salari aumentino, inclusi i salari dei lavoratori a basso reddito, sono vitali nuovi compiti. Inoltre, perché i lavoratori a basso reddito beneficino dei cambiamenti tecnologici, fattori istituzionali come la contrattazione collettiva, i salari minimi e i limiti al potere monopsonistico del datore di lavoro potrebbero rivelarsi importanti.

Evidenze empiriche

Esistono già prove che l’AI può portare a risultati positivi per i lavoratori in contesti specifici. Van Inwegen et al. (2025) mostrano che l’assistenza algoritmica alla scrittura di curriculum porta a aumenti causali nelle assunzioni e nei salari per i potenziali dipendenti.

Una ricerca condotta da Erik Brynjolfsson su un call center ha rivelato risultati notevoli: “Le persone che avevano accesso alla tecnologia erano drammaticamente più produttive, di circa il 14% in media, ma i lavoratori meno esperti sono diventati il 35% più produttivi in pochi mesi… Gli impiegati sembravano felici, sono scesi i tassi delle dimissioni, si è verificato meno turnover.”

Scenario 2: reinvestimento in crescita

Il secondo scenario prevede che le aziende reinvestano i guadagni dall’AI in crescita, innovazione ed espansione, creando indirettamente opportunità per i lavoratori attraverso nuovi posti di lavoro e settori emergenti.

Le previsioni degli economisti di Stanford

Le aziende che utilizzano ampiamente l’AI tendono ad essere più grandi e produttive, e pagano salari più alti. Crescono anche più velocemente: un ampio aumento nell’uso dell’AI è collegato a circa il 6% di crescita occupazionale in più e il 9,5% di crescita delle vendite in più nel corso di cinque anni.

Questa evidenza suggerisce che anche i lavoratori in ruoli ad alta esposizione all’AI possono beneficiare della crescita aziendale con una quota sull’occupazione totale crescere di circa il 3% in cinque anni, perché l’AI ha aumentato la produttività aziendale. https://mitsloan.mit.edu/ideas-made-to-matter/how-artificial-intelligence-impacts-us-labor-market

La teoria della “Curva a J” di Brynjolfsson

Erik Brynjolfsson del MIT prevede un boom di produttività in arrivo. “prevedo un raddoppio della crescita della produttività nel prossimo decennio come risultato di queste tecnologie”. Tuttavia, avverte che questo non è immediato: le tecnologie per scopi generali come l’elettricità hanno impiegato “due o tre decenni per iniziare a produrre grandi effetti nei numeri della produttività.”

Creazione di nuovi compiti

Acemoglu e Johnson riportano l’attenzione su un aspetto spesso dimenticato quando si parla di automazione: la crescita dell’occupazione non dipende soltanto da ciò che la tecnologia elimina, ma soprattutto da ciò che riesce a far nascere. Parlano dei “nuovi compiti” come del vero motore del progresso. Ogni grande trasformazione tecnologica, spiegano, non ha soltanto sostituito attività umane, ma ha aperto spazi di lavoro che fino a poco tempo prima erano inconcepibili.

Se si guarda agli ultimi ottant’anni, il quadro diventa evidente. Molte delle professioni che oggi consideriamo indispensabili non erano nemmeno immaginabili per le generazioni precedenti. Le risonanze magnetiche non esistevano, e quindi non c’erano radiologi specializzati in MRI; le reti informatiche non erano ancora un’infrastruttura del mondo moderno, e di conseguenza non servivano ingegneri di rete; non c’erano programmatori, perché il software non era ancora diventato un linguaggio universale dell’economia; la sicurezza informatica non era una disciplina, perché non c’era nulla da proteggere; e la figura dell’analista di dati sarebbe sembrata quasi fantascientifica in un mondo in cui i dati non venivano raccolti, archiviati e interpretati come avviene oggi.

Di fronte all’intelligenza artificiale, la domanda non è soltanto quali mansioni verranno automatizzate o rese obsolete, la questione più importante è quali nuovi compiti l’AI ci permetterà di svolgere, quali forme di valore umano potrà amplificare, quali professioni nasceranno attorno alle sue capacità.

Scenario 3: concentrazione del capitale – aumento dei profitti e della disuguaglianza

Il terzo scenario, forse il più preoccupante, prevede che i benefici dell’AI si concentrino principalmente nei proprietari del capitale e negli azionisti, ampliando il divario tra capitale e lavoro.

Le preoccupazioni di Acemoglu

Daron Acemoglu stima che nel prossimo decennio, l’AI produrrà un “aumento modesto” del PIL tra l’1,1% e l’1,6% nei prossimi 10 anni, con un guadagno annuale di produttività di circa lo 0,05%. Questa stima molto più cauta di altre previsioni si basa sulla sua analisi che “circa il 5% dell’economia” sarà realmente impattato dall’AI nei compiti di ufficio relativi a sintesi di dati, visione computerizzata e riconoscimento di pattern.

Acemoglu sostiene anche che “attualmente seguiamo la direzione sbagliata verso l’AI. La stiamo usando troppo per l’automazione e non abbastanza per fornire expertise e informazioni ai lavoratori”.

Il rischio della polarizzazione

Secondo alcuni economisti, se questo scenario si concretizza, potremmo ritrovarci in una posizione di svuotamento dei lavori a reddito medio. La dinamica è controintuitiva: oggi stiamo osservando incrementi di produttività significativi proprio tra i lavoratori meno qualificati nelle occupazioni più esposte all’AI. L’intelligenza artificiale sembra amplificarne le capacità, rafforzarne l’efficienza, accompagnarne il lavoro quotidiano. Ma alcuni economisti avvertono che questo vantaggio potrebbe essere temporaneo. Quando la tecnologia completa il ciclo di maturazione, ciò che inizialmente sostiene un lavoratore può trasformarsi in ciò che, in prospettiva, lo sostituisce. Se l’AI riuscirà a svolgere autonomamente un numero crescente di attività esecutive o ripetitive, il rischio è che il segmento dei lavori a reddito medio, quelli che richiedono una combinazione di esperienza, disciplina e abilità operative, finisca per assottigliarsi. È qui che si apre la possibilità di una polarizzazione del mercato: da una parte i lavori altamente specializzati e ben retribuiti, dall’altra quelli a bassa qualifica non completamente sostituibili; nel mezzo, un territorio che rischia di perdere gradualmente il suo equilibrio tradizionale.

Evidenze sulla concentrazione

In questo scenario si inseriscono le riflessioni di Daron Acemoglu, uno degli economisti più attenti agli effetti di lungo periodo della tecnologia sulla struttura sociale. Acemoglu osserva che l’impatto dell’intelligenza artificiale potrebbe essere meno radicale, sul fronte della disuguaglianza tra lavoratori, rispetto alle grandi ondate di automazione del passato. L’AI, infatti, tocca in modo più trasversale i gruppi demografici: non colpisce soltanto le professioni manuali o quelle ripetitive, e non rafforza esclusivamente le élite digitali. Tuttavia, questa relativa “equità” dell’impatto non si traduce automaticamente in una società più equilibrata. Non ci sono evidenze che l’IA contribuirà a ridurre la disuguaglianza dei redditi da lavoro; al contrario, le previsioni mostrano un’altra tendenza, più silenziosa ma più profonda. L’innovazione sposta il baricentro del valore economico dal lavoro al capitale: chi possiede infrastrutture tecnologiche, dati, modelli avanzati o piattaforme capaci di scalare globalmente è destinato ad ampliare il proprio vantaggio. In altre parole, la forbice più rilevante non sarà necessariamente quella tra lavoratori qualificati e non qualificati, ma quella tra chi detiene gli asset tecnologici e chi mette a disposizione soltanto il proprio tempo. La crescita dell’AI, in questa lettura, non polarizza tanto le competenze quanto la proprietà; non semplifica il lavoro, ma concentra la ricchezza in cima alla piramide.

Europa e Italia: quale Scenario è più probabile?

Il contesto europeo e italiano presenta caratteristiche uniche che potrebbero favorire alcuni scenari rispetto ad altri. L’Italia è un caso particolarmente interessante data la sua struttura economica dominata da piccole e medie imprese. In Italia, le microimprese rappresentano il 95,13% del totale delle aziende, mentre le grandi imprese costituiscono solo lo 0,09%.

Tuttavia, l’adozione dell’intelligenza artificiale nelle PMI italiane resta molto contenuta. Secondo i dati ISTAT, solo l’8% delle imprese italiane con almeno 10 addetti utilizza tecnologie di AI, e la penetrazione nelle PMI scende ulteriormente: un’analisi Ambrosetti–TeamSystem stima che solo il 7% delle piccole e medie imprese abbia effettivamente introdotto soluzioni di AI nei propri processi. Un divario evidente rispetto al quadro europeo, dove i dati Eurostat indicano che circa il 13% delle PMI dell’UE dichiara di utilizzare almeno una tecnologia di intelligenza artificiale.

I dati ISTAT 2024 indicano per l’Italia una crescita dal 5% all’8,2% di imprese che utilizzano l’AI, pur mostrando un ritardo rispetto al 13,5% di media UE. Ancora più allarmante, la media europea supera il 15%, con punte superiori al 20% in Paesi come Germania, Francia e i paesi scandinavi.

Le barriere strutturali per l’AI in Italia

Le PMI italiane affrontano ostacoli specifici all’adozione dell’AI: In Italia il 39,3% delle PMI presenta un indice di intensità digitale molto basso, un altro 39,3% basso, il 18,5% alto e solo il 2,8% molto alto. Questa bassa maturità digitale rappresenta una barriera significativa all’implementazione efficace dell’AI. Il 26% delle PMI segnala incompatibilità tra macchinari esistenti e soluzioni di intelligenza artificiale. La burocrazia e la mancanza di fondi preoccupano quasi la metà dei manager – più specificamente il 40%.

Gli scenari probabili per l’Italia per l’AI

Scenario 1 (redistribuzione ai lavoratori): Probabilità bassa-media

In Italia, questo scenario potrebbe realizzarsi parzialmente nelle grandi aziende più innovative e nelle PMI leader nei loro settori. La forte tradizione di contrattazione sindacale in Italia potrebbe giocare un ruolo nel garantire che i guadagni di produttività si traducano in miglioramenti salariali. Tuttavia, la bassa digitalizzazione e l’adozione limitata dell’AI nelle PMI rendono questo scenario meno probabile nel breve termine per la maggior parte del tessuto economico.

Scenario 2 (reinvestimento in Crescita): probabilità media-alta

Questo scenario potrebbe essere il più probabile per le PMI italiane che adottano l’AI. Le aziende che hanno iniziato a utilizzare l’AI hanno avuto performance di fatturato superiori del 32% rispetto ai concorrenti. Per le PMI orientate all’export e all’innovazione, l’AI potrebbe rappresentare un’opportunità per competere sui mercati internazionali, creando crescita e nuovi posti di lavoro specializzati. Il 75% dei decisori considera l’AI cruciale per competere a livello internazionale, e il 79% la considera uno strumento essenziale per mantenere o acquisire vantaggi innovativi.

Scenario 3 (concentrazione del capitale): probabilità media

Il rischio di concentrazione esiste, ma potrebbe manifestarsi in modo diverso in Italia rispetto ad altri paesi. Piuttosto che una concentrazione interna alle singole aziende, potrebbe emergere un divario crescente tra:

  • Grandi imprese e PMI leader che adottano l’AI vs PMI tradizionali che rimangono indietro
  • Regioni più innovative del Nord vs aree meno digitalizzate
  • Settori ad alta intensità tecnologica vs settori tradizionali

Le peculiarità del contesto europeo

L’Europa si distingue per un approccio più regolato all’AI, con particolare attenzione agli aspetti etici e sociali. Questo potrebbe favorire lo Scenario 1 (redistribuzione) attraverso:

  1. Regolamentazione sociale: Le normative europee sull’AI e sul lavoro potrebbero imporre maggiori salvaguardie per i lavoratori
  2. Tradizione del welfare: I modelli sociali europei potrebbero attenuare gli effetti negativi dell’automazione
  3. Investimenti pubblici: I fondi del PNRR e altri programmi europei potrebbero supportare la transizione

Tuttavia, il 78% dei decisori auspica lo sviluppo di strumenti AI made in Europa, per ridurre la dipendenza da Stati Uniti e Cina, suggerendo la consapevolezza di un ritardo competitivo che potrebbe limitare i benefici economici complessivi.

Come conclude Erik Brynjolfsson, “non abbiamo bisogno di ulteriori progressi tecnologici per avere effetti enormi sulla produttività e sui salari. Quello di cui abbiamo bisogno sono alcuni cambiamenti significativi nei processi aziendali. Dobbiamo ripensare il modo in cui viene svolto il lavoro.”


L’AI ti farà guadagnare di più o ti sostituirà? I 3 futuri possibili (e quale ti riguarda) - Ultima modifica: 2025-11-21T11:14:57+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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