Project Suncatcher è il programma con cui Google valuta se una parte del calcolo per l’intelligenza artificiale possa essere trasferita dalla Terra allo spazio. Il progetto prevede piccoli satelliti equipaggiati con unità di calcolo dedicate all’AI e alimentati da pannelli solari. La scelta di un’orbita sincrona alba-tramonto consente un’esposizione quasi continua alla luce solare e permette di ottenere una produzione energetica fino a otto volte superiore a quella disponibile a Terra. Questa condizione renderebbe possibile un funzionamento quasi diretto dei sistemi di calcolo, riducendo la necessità di batterie di grande capacità per i data center AI.
Il nodo ingegneristico più critico di Project Suncatcher riguarda la comunicazione tra satelliti. Per distribuire i carichi di lavoro legati all’addestramento e all’esecuzione dei modelli è necessaria una capacità trasmissiva nell’ordine delle decine di terabit al secondo. Per raggiungere questi valori, Google valuta collegamenti ottici basati sulla divisione in lunghezze d’onda e sull’uso di più fasci paralleli, riducendo la dispersione grazie a distanze operative molto ridotte fra un satellite e l’altro. La stabilità di una formazione così compatta richiede modelli dinamici avanzati: Google ha simulato le perturbazioni reali dell’orbita bassa, verificando se i satelliti possano mantenere la posizione con un consumo di propellente compatibile con una missione pluriennale.
Un’altra area di ricerca riguarda la resistenza dell’elettronica all’ambiente spaziale. Le unità di calcolo sono state sottoposte a test con fasci di protoni per riprodurre le condizioni di radiazione in orbita. I risultati mostrano che i chip possono sostenere dosi maggiori rispetto a quelle previste per una missione di cinque anni, mentre la memoria ad alta densità rimane l’elemento più sensibile a errori indotti dalle particelle. I test servono a definire quali componenti richiedano ulteriori schermature e quali possano operare con margini di sicurezza già adeguati.
L’aspetto economico dipende in gran parte dal costo dei lanci. Secondo le stime incluse nel progetto, un prezzo intorno ai duecento dollari per chilogrammo, ipotizzabile nella prossima decade se la riduzione dei costi proseguirà, renderebbe la gestione di un’infrastruttura orbitale comparabile, per consumo energetico annuo, a un data center terrestre. Google lancerà inizialmente due prototipi di satelliti all’inizio del 2027. Ciascuno sarà dotato dei chip AI personalizzati dell’azienda, denominati Tensor Processing Unit, disponibili attraverso i data center terrestri di Google. “Le prime ricerche dimostrano che le nostre TPU di generazione Trillium (le nostre unità di elaborazione tensoriale, appositamente progettate per l’intelligenza artificiale) sono sopravvissute senza danni quando sono state testate in un acceleratore di particelle per simulare i livelli di radiazione dell’orbita terrestre bassa”, ha scritto il leader dell’azienda Sundar Pichai.
Project Suncatcher non presenta al momento barriere fisiche note che lo rendano impraticabile, ma richiede progressi coordinati su controllo della formazione, trasmissione ottica e protezione dei componenti elettronici. Se le prove sperimentali confermeranno le simulazioni, lo spazio potrebbe diventare un’estensione dell’infrastruttura AI esistente, con accesso continuo all’energia solare e una minore pressione sulle reti elettriche terrestri.
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