BlueIT sa che l’AI è destinata ad intrecciarsi con ogni aspetto delle nostra economia, della nostra società e delle tecnologie che usiamo e c’è un filo invisibile che lega ogni rivoluzione tecnologica: la ricerca di equilibrio tra ciò che possiamo fare e ciò che dovremmo fare perché l’innovazione non è mai solo tecnologica, ma è anche culturale, organizzativa e soprattutto umana. L’intelligenza artificiale, in questo senso, è la più potente e la più fragile delle innovazioni.
In questo ambito si è mosso AI Accelerator 2025 – L’Umanesimo dell’AI tra etica, sicurezza ed esperienze l’evento organizzato da BlueIT in collaborazione con IBM,
Una giornata di confronto nella cascina settecentesca di Torlino Vimercati, sede dell’Innovation Hub BlueIT, un luogo che sembra progettato per incarnare il concetto stesso di “equilibrio”: le travi antiche accanto ai server, la pietra accanto ai cavi in fibra ottica.
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“Questa cascina ha attraversato tre secoli, 3 rivoluzioni industriali, e ora ospita la quarta: quella dell’intelligenza Artificiale” così Francesco Marino ha aperto l’evento, perché il luogo, l’ambiente, il contesto hanno un’importanza fondamentale nella strategia Ai di BlueIT. Chi si reca a Torlino Vimercati per capire come l’AI può cambiare il proprio business, si allontana dalle urgenze, trova un ambito di riflessione e si concentra su ciò che conta davvero: per innovare bisogna dedicarsi, ci metodo, cura e regola.
Tutto questo è stato rappresentato con un frammento di un piatto del 1250 realizzato dai Monaci Benedettini dell’Abbazia di Polirone, che hanno inventato per quel piatto un nuovo colore, il bruno, che prima non esisteva.
“Pensateci: ottocento anni fa, in un’abbazia, qualcuno ha sperimentato, sbagliato, ricominciato… fino a creare un colore nuovo. E quel colore oggi lo vediamo ancora.
È la prova che un’innovazione, quando nasce da cura, metodo e regola, può attraversare i secoli.
Questo pezzo di piatto ci insegna almeno tre cose che valgono anche per l’AI:
Perché il vero progresso non si misura solo in prestazioni, ma in intenzioni. Non basta che una macchina risolva un problema: dobbiamo chiederci quale problema sta risolvendo, per chi, e a quale costo. L’intelligenza artificiale può diventare un motore di equità o un acceleratore di disuguaglianze; può rafforzare le libertà o cristallizzare i pregiudizi. Tutto dipende da come la progettiamo e da quali valori decidiamo di incorporare nel suo codice.
Girolamo Marazzi, CEO e fondatore di BlueIT, all’ AI Accelerator ha poi delineato la visione dell’azienda: costruire tecnologie che migliorino la vita delle persone, rispettando il contesto, l’ambiente e la dignità del lavoro.
“BlueIT è nata come progetto di persone, prima ancora di essere un progetto di tecnologia,” ha detto. “Etica, innovazione e sostenibilità non sono parole di marketing, ma per noi sono le tre direttrici che orientano ogni nostra decisione.”
Marazzi ha raccontato come il BlueIT Innovation Hub sia stato pensato come un laboratorio esperienziale, dove le imprese possono sperimentare l’AI in ambienti controllati e sicuri, con il supporto di esperti di cybersecurity, cloud e trasformazione digitale.
“Abbiamo voluto creare uno spazio dove l’innovazione si possa toccare, dove si possa sbagliare e imparare in fretta. Perché l’intelligenza artificiale funziona solo se diventa parte viva dell’organizzazione”. Il CEO ha insistito su un principio: l’AI deve essere un percorso, non un salto nel vuoto: “Non servono grandi progetti. Si parte da un caso concreto, si misura, si impara. La tecnologia diventa sostenibile quando è graduale, quando rispetta i tempi umani.” Infine, ha sottolineato la collaborazione con IBM, basata su una visione comune di fiducia e responsabilità condivisa: “Con IBM condividiamo l’idea che l’AI vada fatta dentro le imprese, non subita dall’esterno. I dati sono il patrimonio di un’azienda, e devono restare nelle sue mani.”
Roberta Bavaro, Ecosystem Director di IBM, ha raccolto il concetto di fiducia portandolo sul piano dell’ecosistema: “Ogni rivoluzione tecnologica nasce da un atto di fiducia: fiducia nei partner, nei dati, ma soprattutto nelle persone che li usano.” Bavaro ha spiegato come l’approccio IBM alla trasformazione digitale non si limiti all’aspetto tecnico, ma includa governance, sicurezza, sostenibilità e trasparenza. “La generative AI è potente, ma deve essere spiegabile, tracciabile, controllabile. Solo un’AI comprensibile può diventare alleata dell’impresa.” Ha poi evidenziato il valore della collaborazione con BlueIT come esempio virtuoso di innovazione a quattro mani, dove la competenza internazionale di IBM incontra la prossimità e la capacità di ascolto di un partner italiano. “È in questa collaborazione che nasce il vero valore dell’AI: quando la tecnologia globale incontra la conoscenza locale. Innovare è un atto di fiducia reciproca.” Il suo intervento ha chiuso la prima sezione della giornata con una consapevolezza precisa: la tecnologia senza fiducia non genera progresso, ma soltanto complessità.
L’AI non è solo tecnologia: è anche strategia, politica industriale e cultura economica. Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore della Bocconi ha focalizzato il suo intervento sull’analisi economica e la politica industriale legate all’AI.
“L’intelligenza artificiale non è più un laboratorio, ma una nuova infrastruttura produttiva. Come l’elettricità, come Internet. E chi non la integra nei propri processi rischia di restare tagliato fuori dal mercato.” Ha spiegato come l’AI stia già trasformando gli equilibri macroeconomici globali. Negli Stati Uniti, ha ricordato, il 40% della crescita del PIL recente è attribuibile a investimenti in intelligenza artificiale e cloud. “Non possiamo più limitarci a osservare. È il momento di entrare in produzione. L’AI non deve restare un tema da convegno, ma diventare una leva operativa.”
Ha poi articolato il concetto in tre livelli evolutivi:
“L’AI industriale è la calcolatrice della produzione; la generativa è il foglio Excel della conoscenza; la agentica sarà il sistema nervoso dell’impresa. Tre livelli che devono dialogare, non escludersi.”
Per Carnevale Maffè, la differenza tra chi vincerà e chi resterà indietro non sarà nella tecnologia in sé, ma nella capacità di governo. “Il successo dell’AI dipende solo per il 10% dagli algoritmi. Il resto è cultura, organizzazione, visione manageriale. L’AI non è informatica, è leadership.”
Infine, ha lanciato un messaggio netto sulla sovranità dei dati, un tema che ha trovato molti consensi tra i presenti: “Non regalate i vostri dati a sconosciuti. I dati sono la vostra ricchezza, la vostra identità. Vanno custoditi nel vostro giardino digitale.” Il suo intervento ha portato un tono quasi civile alla discussione: l’AI non è solo una sfida tecnologica, ma una questione di autonomia e dignità economica.
Dopo l’analisi economica di Carnevale Maffè, all’AI Accelerator di BlueIT, Giovanni Todaro, CTO di IBM Italia, ha riportato il dibattito al cuore tecnologico, intrecciando la logica dei modelli con una riflessione più filosofica. “Pitagora diceva che tutto è numero. Oggi tutto è AI, ma serve anche l’anima che Pirandello ci ha insegnato a riconoscere dietro i ruoli.” Il suo intervento ha fatto da ponte tra la scienza dei dati e la letteratura, tra la formula e la coscienza. Per Todaro, l’intelligenza artificiale non è solo calcolo, ma interpretazione del reale. “Un modello non è intelligente perché sa fare previsioni, ma perché sa restituire senso a ciò che osserva.” Ha messo in guardia dalla corsa cieca ai modelli sempre più grandi e costosi, indicando invece la strada di una AI mirata, efficiente e sostenibile. “Non servono miliardi di parametri per generare valore. Servono dati di qualità e obiettivi chiari. L’AI del futuro sarà leggera, spiegabile e ibrida: un ecosistema di modelli specializzati che collaborano tra loro.” Rivolgendosi alle imprese italiane presenti, Todaro ha lanciato un invito pragmatico: “Individuate il vostro ‘mal di pancia’ aziendale, quella inefficienza che conoscete bene e che l’AI può risolvere. L’innovazione più grande nasce sempre da un problema concreto.” Ha poi concluso ricordando che l’AI, per funzionare davvero, deve essere comprensibile, non solo performante: “un modello che non possiamo spiegare non può essere degno della nostra fiducia. E la fiducia è la vera unità di misura del progresso.”
Il dialogo si è poi spostato verso la dimensione valoriale con Massimo Folador, CEO di Askesis, che da anni studia il legame tra etica e management. “Ogni impresa è una comunità di persone unite da un fine. Se il fine è solo economico, l’impresa si svuota. L’AI deve aiutarci a ritrovare il senso, non a perderlo.” Folador ha ricordato che la storia economica occidentale si è costruita proprio sull’idea che il lavoro sia vocazione, non solo produzione. E che la tecnologia, se non custodita dentro un orizzonte umano, rischia di impoverire invece di arricchire. “L’etica non è un freno all’innovazione: è la sua architettura. Solo quando mettiamo un limite possiamo costruire qualcosa che duri.” Ha richiamato la regola benedettina — ora et labora — come simbolo di equilibrio tra azione e contemplazione: “L’AI ci spinge alla velocità, ma noi abbiamo bisogno di ritrovare la misura. È nella lentezza del pensiero che si forma la qualità delle decisioni.” Con parole semplici ma dense, Folador ha riportato il discorso sul piano essenziale: nessuna tecnologia può sostituire la coscienza del perché facciamo ciò che facciamo.
Il confronto si è poi aperto alla prospettiva internazionale con Janae Bennett, Global Vice President Digital Sales di IBM, che ha portato sul palco un punto di vista globale, legato all’esperienza di IBM nel guidare l’evoluzione dell’AI su scala mondiale. “Ogni rivoluzione tecnologica nasce da un atto di fiducia reciproca. Fiducia nei dati, nei partner e nelle persone che li usano.” Bennett ne ha parlato di fiducia come di infrastruttura globale, ha proposto una visione in cui non è solo requisito, ma l’architettura del futuro digitale: senza fiducia condivisa tra Paesi, imprese e persone, nessun sistema AI potrà crescere in modo sostenibile.
Bennett ha poi raccontato come, a livello globale, l’obiettivo di IBM sia democratizzare l’intelligenza artificiale: renderla accessibile, spiegabile e utile, indipendentemente dalla dimensione dell’impresa. Ha sottolineato l’importanza di un’AI “responsabile per design”, capace di incorporare criteri etici fin dalla fase di sviluppo rispetto a chi, durante l’evento, aveva trattato l’etica in termini più culturali o manageriali. “L’AI deve essere affidabile, equa e verificabile. Ma soprattutto, deve servire l’uomo, non sostituirlo. È una tecnologia di potenziamento, non di sostituzione.” Ha sottolineato che la vera sfida non è rendere l’AI più potente, ma renderla accessibile, spiegabile e utile per tutte le imprese, anche le più piccole. Questo tema ha spostato l’attenzione dal potere tecnologico alla giustizia tecnologica, aprendo una prospettiva di inclusione e partecipazione. Il suo intervento ha rappresentato la sintesi perfetta tra la visione etica di Askesis e quella tecnologica di IBM, unendo in un unico discorso fiducia, accessibilità e scopo.
Leonardo Marazzi, BU Leader Digital Transformation & AI di BlueIT, ha portato la discussione sul piano operativo, raccontando l’esperienza diretta nell’accompagnare le aziende verso l’adozione consapevole dell’intelligenza artificiale. “Ogni progetto AI è un ponte tra la competenza tecnica e la consapevolezza organizzativa. La tecnologia da sola non basta: serve capire cosa vogliamo migliorare, e perché.” Marazzi ha illustrato l’approccio sperimentale adottato nel BlueIT Innovation Hub, dove decine di aziende italiane hanno avviato progetti pilota di AI generativa, automazione e data governance. “Ogni progetto inizia con un caso reale, con un bisogno concreto. La sfida non è costruire modelli, ma generare fiducia. Perché la fiducia è la vera infrastruttura dell’innovazione.” Ha spiegato come l’AI possa diventare uno strumento di crescita culturale, oltre che tecnologica: “Quando un team comincia a usare l’AI, cambia il modo in cui pensa. Diventa più analitico, più collaborativo, più attento ai dati. L’AI è una palestra per la mente.” Le sue parole hanno dato concretezza a ciò che in mattinata era stato discusso in termini più teorici: l’AI come esperienza trasformativa, non come semplice automazione.
Matteo Reale, partner di Askesis, ha approfondito il legame tra cultura organizzativa e trasformazione digitale. “L’AI è un acceleratore di conoscenza, ma il suo vero valore emerge solo quando diventa parte di una comunità. Innovare non significa solo adottare tecnologie, ma creare cultura condivisa.” Reale ha spiegato che ogni innovazione genera resistenza, perché mette in discussione abitudini, ruoli e identità. “Non possiamo chiedere all’AI di risolvere problemi culturali. L’AI funziona solo dove c’è dialogo, dove i dati diventano linguaggio comune. È qui che nasce il capitale relazionale di un’impresa.” Ha poi ripreso il tema del tempo, già toccato da Folador, con una sfumatura più operativa: “L’intelligenza artificiale deve restituirci tempo, non togliercelo. Tempo per analizzare, per pensare, per progettare. È questa la vera produttività del futuro.” Il suo intervento ha collegato l’etica al management, mostrando che l’AI può essere un catalizzatore di collaborazione e apprendimento collettivo.
Insieme a reale Mauro Nolli, Senior Partner e Innovation Manager di M&IT Consulting, ha portato la riflessione sul piano del cambiamento organizzativo, introducendo il concetto di “tecnologia relazionale”. “Ogni tecnologia nasce da un incontro. Anche l’AI, per funzionare, ha bisogno di relazione: tra persone, processi e informazioni.” Nolli ha descritto l’introduzione dell’AI non come un processo tecnico, ma come un percorso relazionale che richiede empatia e ascolto. “Innovare significa mettere in relazione mondi diversi: chi conosce il business, chi scrive codice, chi prende decisioni. L’AI non sostituisce le persone: le connette.” Ha invitato le aziende a non vedere la tecnologia come barriera, ma come strumento di intelligenza collettiva. “La vera potenza dell’AI non è nell’automazione, ma nella collaborazione che può generare. È la qualità della relazione a determinare la qualità del risultato.”
A chiudere l’evento è stato Stefano Priola, CTO di Centrico (Gruppo Sella)che ha raccontato con passione la sua esperienza nell’uso avanzato dell’AI “Nel settore bancario siamo abituati a usare la tecnologia per prevedere. Ma l’AI ci insegna qualcosa di più profondo: non serve prevedere, serve comprendere.” Priola ha spiegato che nei contesti ad alta complessità, come quello finanziario, l’intelligenza artificiale non deve sostituire il giudizio umano, ma amplificarlo. “L’obiettivo non è togliere il fattore umano dalle decisioni, ma renderlo più informato, più consapevole, più giusto.” Ha anche ricordato che la vera sfida non è tecnica, ma culturale: “Ogni progetto di AI deve essere accompagnato da un percorso di fiducia. L’algoritmo può imparare dai dati, ma solo le persone possono imparare dal significato.” Il suo intervento ha chiuso idealmente il cerchio iniziato: dall’antico pigmento alla moderna AI, il principio è lo stesso — innovare senza perdere l’anima.
“Nel 1250 quei monaci crearono un colore nuovo. Oggi tocca a noi creare il nostro pigmento digitale. Non solo potente, ma giusto. Non solo funzionale, ma umano.” È forse da qui che riparte la sfida: fare in modo che l’AI diventi strumento di coscienza e non di distanza, capace di restituire all’uomo ciò che la tecnologia, per troppo tempo, gli ha sottratto: il tempo per pensare.
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