Perché i fake bot piacciono (e come sgamarli)

Una decina di anni fa fu profetico un pezzo di Caparezza che cantava:

…tutti sono in vetrina, tutti sono qualcuno.

Era l’epoca di Myspace ma con l’imporsi di Facebook prima e Instagram poi, davvero tutti vogliono diventare “qualcuno”.

Per questo motivo è esploso il mercato dell’aumento di follower, dell’incremento di like, del comprare visite. Tutti rigorosamente BOT che pare abbiano più valore degli omonimi titoli di Stato – non che ci voglia molto, ma questa è un’altra storia.

Cosa sono i BOT e perché invadono la Rete

I BOT che ci interessano in questo articolo non sono nemmeno i sempre più evoluti (e utili) software in grado di sostenere un botta-e-risposta con un utente in una prima fase di Customer Service ma i programmi che simulano in tutte e per tutto un follower su Instagram, o una visita sul sito.

In grandi proporzioni, questi fake BOT possono alternare in toto la percezione che ha un profilo social o anche l’analitica di un sito, inquinando i dati reali con numeri gonfiati all’inverosimile. Se dovessimo guardare la questione da un punto di vista di pura etica, andrebbe detto che si tratta di fuffa senza mezzi termini, ma con il cinismo tipico di chi fa marketing si tratta di fuffa che aiuta a vendere, in taluni casi. Altrimenti i fake BOT sarebbero una pratica già caduta in disuso.

Ma cosa vuol dire che i fan fasulli, le visite gonfiate e i like generati da utenti che mai hanno calpestato questa Terra, aiutano-a-vendere?

Perché i follower falsi e le visite finte vengono usati

Non mi piace nascondermi dietro un monitor e fare la paternale da un pulpito digitale, utilizzando termini denigrativi per uno strumento. Perché di questo si tratta, anche quando si parla di fake BOT: di uno strumento, piegato per motivazioni di ritorno economico più rapido, più veloce, più seducente; citando le caratteristiche del Lato Oscuro considerate da Yoda.

Ripeto, del resto se non funzionasse non ci sarebbero dei siti come SEOclerks o SMOnutz, addirittura macchinette fisiche o sperimentazioni continue. Ad oggi, i fake BOT funzionano per:

  1. Attaccare i concorrenti.
  2. Migliorare le proprie performance.
  3. Riprova sociale.

Dei vari attacchi Black Hat ai proprio competitor ne ho già parlato in un precedente articolo, ma ad oggi è davvero molto facile riempire una struttura concorrente con delle recensioni fasulle oppure acquistare massivamente fan finti a un concorrente per eseguire una futura azione di delazione pubblica (aka sputtanamento).

Sul migliorare le proprie performance con i fake BOT, i più etici vorrebbero si utilizzare il più specifico termine “dopare” ma in un settore dove le regole a riguardo sono labili, mi si permetta di utilizzare specificamente “migliorare”; considerando anche business model che guardano più ai dati quantitativi rispetto a quelli qualitativi (si vedano i portali editoriali e la relativa raccolta editoriale). In questo caso, continuando con paragoni sovietici, è come la vecchia storia secondo la quale, per rispettare i piani di produzione quinquennale, venivano prodotte solo scarpe sinistre.

Allo stesso modo, per inseguire fabbisogni numerici di utenti sempre più scollati dalla realtà, ecco che si fa seguito all’acquisto di visite fasulle.

In ultimo, la leva forse più potente è la riprova sociale che spinge all’acquisto di metriche “cazzolunghistiche” o per dirla alla oxfordiana “vanity metrics” che, in certi ambiti, diventano anche veicolo di business, vedi l’ambito del fashion o del visual in genere, dove la dimensione del seguito – non importa la qualità o la veridicità – sono molto più importanti della qualità. Dire il contrario o storcere la bocca è, a mio avviso, maledettamente ipocrita.

Come sgamare i fake BOT

Esistono in rete decide di “fake checker” in grado di fare una percentuale più o meno veritiera dei follower di un profilo e della qualità delle interazioni sviluppate. Basta cercare su Google, aggiungendo magari il social di riferimento per essere più specifici.

Per le visite fasulle, considerata anche l’evoluzione costante dei fake BOT, sempre più specifici nel simulare finanche il customer journey, è possibile utilizzare tool come SEMrush che danno il polso della situazione circa il traffico (da Organic Search) di un sito, in base ai posizionamenti reali ottenuti.

Si tratta di pratiche che necessitano di competenze in teoria alla portata di un addetto ai lavori standard, ma che in realtà sembrano essere poco diffuse.

Oppure, a conferma di un cinico sospetto, semplicemente non importa più a nessuno discernere gli utenti reali dai bot.


Perché i fake bot piacciono (e come sgamarli) - Ultima modifica: 2018-10-06T06:40:58+00:00 da Benedetto Motisi

Attivo in Italia ed Est Europa, ha lavorato nelle redazioni di Radio Radicale e di Gruppo HTML (oggi Triboo Media). Docente nei Master di Web Communication e Visual & Marketing Design in REA Academy. Ha pubblicato “Interceptor Marketing” con Flaccovio Editore e contribuito a “Le nuove professioni digitali” per Hoepli.

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