Un salto di qualità sotto ogni profilo, l’evento Zing di Var Group ha rappresentato un cambio di passo deciso, non solo perché la tradizionale Convention Var Group ha cambiato nome, ma perché ha cambiato pelle.
L’evento di Var Group è iniziato, diversi anni fa, a Cervia ed è cresciuto di 10 volte in termini di persone da 250 a 2.500, questa crescita è stata anche accompagnata da un profonda trasformazione dei contenuti, come ha spiegato Francesca Moriani, Ceo di Var Group, in apertura di Zing, dialogando con Chiara Francini.
Fino a oggi, ha spiegato Francesca Moriani, la convention di Var Group era una fotografia: un momento per raccontare ciò che l’azienda poteva fare, per mostrare le proprie competenze nel mondo dell’innovazione. Ma l’innovazione, oggi, non si lascia più inquadrare. «Il mondo va troppo veloce», ha affermato. «Non è più tempo di scattare fotografie, ma di girare un film che scorre insieme alle persone».
Ed è da questa consapevolezza che nasce Zing: non più un palco chiuso, ma una piazza aperta. Un luogo dove le idee si incontrano, dove si costruisce insieme, dove l’innovazione torna a essere relazione, scambio, contaminazione.
Indice dei contenuti
Il tema di Zing è stata l’intelligenza vista con una profondità. Non solo intelligenza artificiale, ma di bensì intelligenza plurale: quella che nasce dall’incontro fra umana, artificiale e organizzativa.
L’intelligenza umana è quella che sa contestualizzare, creare, sbagliare, imparare; l’intelligenza artificiale è quella che elabora enormi quantità di dati, correla, ottimizza, accelera; l’intelligenza organizzativa è quella che nasce dal condividere esperienze, errori e conoscenza all’interno di un gruppo.
«Solo quando queste tre intelligenze si integrano davvero», ha detto Francesca Moriani, «l’innovazione diventa efficace».
Perché i dati, da soli, restano numeri sterili, solo se incontrano la visione umana diventano decisioni, solo se entrano nei processi aziendali diventano cambiamento.
La sfida, per Francesca Moriani, non è tecnologica ma organizzativa. «L’intelligenza artificiale non è una nuova tecnologia», ha sottolineato. «È un game changer». Non basta innestarla in processi tradizionali: bisogna riscriverli da capo. Il processo decisionale, per esempio, deve essere ripensato in modo che le intelligenze (umana e artificiale) si integrino davvero. Per farlo serve coraggio: coraggio di sperimentare, di fallire, di imparare. «Non possiamo chiedere miracoli alla tecnologia, né alle persone» ha detto. «Ma possiamo creare le condizioni perché l’innovazione accada davvero».
Gli Speaker di Zing sono stati di altissimo livello, da Chiara Francini, Attrice e scrittrice che ha moderato le sessioni plenarie, Alec Ross, Autore, Professore e Imprenditore, Mia Ceran Giornalista e Conduttrice televisiva; Doug Kirkpatric, Management Reimagineer, Lorenzo Maternini, CEO Perspective AI, Luna Bianchi, Co-fondatrice e Co-CEO Immanence, Co-founder e AD di Decentral, Julio Velasco, Allenatore di pallavolo e Direttore sportivo. E poi Giovanni Moriani | Senior Advisor Sesa, Jacopo Romagnoli, Head of Innovation & Blockchain, Federica Pellegrini, Nuotatrice e sportiva, Francesco Marino, Direttore Digitalic, Stefano Mancuso, Neurobiologo Direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale, Andrea Pontremoli, CEO e Partner di Dallara, Alessandro Tiezzi, Head of Var Digital Art, Davide Sarchioni , Curatore e Direttore Artistico Var Digital Art.
Se Zing è una piazza, Zing Design è stata la sua anima creativa. La sessione, curata e moderata da Francesco Marino, ha rappresentato uno dei momenti più intensi di tutta la manifestazione.
Qui, la parola “design” è diventata sinonimo di intenzione: la capacità di dare forma al cambiamento, non solo di immaginarlo.
Perché nel mondo digitale, progettare non significa più soltanto creare un’interfaccia o un prodotto, ma ridisegnare relazioni, esperienze, modelli di pensiero.
In questa prospettiva, il design è stato raccontato come ponte tra umanità e tecnologia. È ciò che traduce la complessità dell’intelligenza artificiale in qualcosa di accessibile, comprensibile, vivibile. Un linguaggio universale che unisce estetica, funzionalità e visione etica. Zing Design ha mostrato come il valore di un progetto non stia solo nel “che cosa” realizza, ma nel “come” e nel “perché” lo realizza. Ogni innovazione significativa nasce infatti da un atto di empatia: dal mettersi nei panni di chi ne farà uso, dal capire il contesto, dal progettare con consapevolezza.
Alessandro Di Grazia, Sales Strategic Leader di iSquared, ha aperto la sessione con una provocazione potente: “L’AI non è il futuro. È l’aria che respiriamo. Adesso.”
Ma c’è un problema. Nonostante il 40% delle aziende abbia già adottato strumenti come Copilot o ChatGPT, solo il 5% riesce a creare un vantaggio competitivo reale. Il motivo? Non è tecnologico, è di approccio.
Di Grazia ha introdotto la distinzione fondamentale tra “Turisti dell’AI” e “Nativi dell’AI”:
“Il Turista usa l’AI per delegare il fare. Il Nativo la usa per potenziare il pensare”, ha sottolineato Di Grazia, introducendo la Regola dell’Iceberg: “Il 30% di un progetto AI è tecnologia. Ma il 70%… sono le persone, i processi, la cultura.”
Francesco Marino, Direttore di Digitalic, ha guidato la platea attraverso un viaggio affascinante dalla biologia alla storia, dimostrando come ogni innovazione trasformi non solo ciò che facciamo, ma chi siamo.
Partendo da uno studio sui ragni pubblicato su Evolution nel 2025, Marino ha spiegato: “I ragni si sono evoluti per creare la tela, ma la tela ha modificato i ragni, in un processo di retro-azione o di co-creazione. Costruire la tela ha modificato la loro evoluzione. Non è solo il ragno a creare la tela: è la tela che, col tempo, cambia il ragno.”
Mostrando un frammento di piatto del 1250 creato dai monaci benedettini dell’abbazia di Polirone, Marino ha tracciato un parallelo potente: “Ottocento anni fa, in un’abbazia, qualcuno ha sperimentato, sbagliato, ricominciato… fino a creare un colore nuovo. Così l’AI non deve solo funzionare: deve rendere il lavoro più bello, giusto, più umano, più armonico.”
La sua conclusione è stata un manifesto etico: “Sta a noi decidere se costruire un futuro che funziona, o un futuro che sia giusto.”
Sul palco sono saliti i veri protagonisti della co-progettazione, rappresentanti di aziende che hanno lavorato insieme per un mese intero:
Insieme hanno presentato un Manifesto in 10 punti, nato dal confronto reale tra bisogni, dubbi e ambizioni.
Marco Milani ha aperto: “Ogni scelta o investimento nascono da criticità o opportunità chiaramente espressi, con aspettative e criteri di successo ben definiti e condivisi. Esplicitare questi aspetti in modo semplice aiuta a ingaggiare le persone, prevenire aspettative irrealistiche e correlare la tecnologia a obiettivi concreti e misurabili.”
Giulia Coraglia ha chiarito il ruolo dell’umano: “L’AI amplifica, non sostituisce le capacità umane a cui restano affidate le scelte strategiche e critiche. Quando agisce, l’AI interviene per supportare le operazioni, ma è sempre definito quando deve essere trasparente e quando è necessario l’intervento umano.”
3-4. Chiarezza del processo e Raccolta differenziata dei Dati + Policy chiare
Paola Barone ha sottolineato l’importanza dei dati: “Non vediamo l’IA come una soluzione magica universale, ma come uno strumento verticale, potente e mirato che funziona solo se alla base ci sono dati curati. Il motto ‘Ad ognuno il suo dato’ aiuta ad evitare bulimia e dispersione.”
E sulla governance: “Abbiamo scelto di ridurre il caos con policy semplici da leggere e davvero applicabili. Il nostro equilibrio? Restare conformi alle normative, senza cadere nell’eccesso di burocrazia.”
Luca Masini ha parlato di cultura organizzativa: “Per trasformare la resistenza in fiducia, promuoviamo una cultura che vede l’errore come occasione di apprendimento e che favorisce la contaminazione di conoscenze tra team. L’AI diventa un fattore di evoluzione coerente con la nostra identità.”
6-7. Un ponte stabile tra business e tecnologia + Prototipazione
Diego Bellato ha enfatizzato metodo e sperimentazione: “Le potenzialità dell’AI ci spingono a sviluppare una nuova forma mentis progettuale, guidata da visione, etica e maggiore consapevolezza delle conseguenze delle nostre scelte.”
E sulla prototipazione: “Preferiamo la concretezza alle promesse. ‘Never give up’ è un motto che suggerisce di integrare la cultura dell’errore, esorta a non rinunciare subito se le cose non funzionano.”
Francesca Del Bonifro ha ribadito: “La misurazione non è un adempimento, ma parte integrante del metodo. Le misure così raccolte diventano una bussola operativa, orientando le decisioni successive.”
Marco Milani è tornato sul palco: “Sicurezza e privacy non stanno sullo sfondo, ma sono in prima linea in ogni processo. La cura e la trasparenza nelle pratiche quotidiane diventano il fondamento della fiducia.”
Giulia Coraglia ha chiuso: “L’adozione dell’AI non è un punto di arrivo, ma un percorso continuo. L’organizzazione agile significa saper apprendere, adattarsi e diffondere pratiche efficaci in materia di AI in modo snello ma disciplinato.”
Milani ha concluso con una dichiarazione di intenti: “Scegliamo di non essere ‘turisti dell’AI’, ma nativi dell’intelligenza integrata: curiosi nel pensiero, rigorosi nei dati, sobri nella tecnologia, attenti alle persone.”
L’Oltresoggetto: quando l’intelligenza diventa plurale
Andrea Colamedici, saggista ed editore, ha portato sul palco un concetto rivoluzionario: l’Oltresoggetto. Attraverso il racconto dell’esperimento Ipnocrazia – che ha visto la creazione di Jianwei Xun, un filosofo fittizio nato dalla collaborazione tra Colamedici e sistemi di IA – ha dimostrato come la collaborazione tra intelligenza umana e artificiale possa generare configurazioni di pensiero che non appartengono completamente né all’una né all’altra.
L’Oltresoggetto rappresenta una configurazione cognitiva che emerge nello spazio relazionale tra intelligenze diverse, trasformando radicalmente il nostro approccio: da strumento da ottimizzare a partner in un processo di co-creazione del pensiero.
La tavola rotonda finale ha visto protagonisti i vendor tecnologici, moderati ancora da Francesco Marino:
Hanno discusso l’evoluzione dall’AI tradizionale agli agenti intelligenti: sistemi autonomi che non solo rispondono, ma agiscono, decidono e si coordinano tra loro.
La discussione ha fatto emergere le sfide cruciali di questa nuova era. Prima fra tutte, come costruire fiducia e sicurezza in ecosistemi dove gli agenti operano in autonomia. Serve poi progettare architetture scalabili capaci di permettere decisioni indipendenti mantenendo al contempo coerenza con la strategia aziendale.
Stiamo entrando nell’Internet of Agents, un paradigma dove ogni nodo di rete può diventare un punto di intelligenza decisionale distribuita. Ma questa potenza deve tradursi in un’integrazione invisibile: l’AI deve potenziare i flussi di lavoro esistenti dall’interno, senza stravolgerli.
Restano aperte le questioni di responsabilità etica e legale: chi risponde quando un agente autonomo prende una decisione? E infine, come garantire observability completa su sistemi che per natura tendono all’autonomia, mantenendo visibilità e controllo su reti sempre più complesse?
Z!ng Design ha dimostrato che l’innovazione vera non nasce dalla tecnologia, ma dal metodo. Non dall’automazione, ma dalla collaborazione. Non dall’efficienza, ma dalla trasformazione.
Come ha ricordato Francesco Marino citando i monaci benedettini: “Ogni vera innovazione è come un colore. Non basta prenderlo in prestito: bisogna inventarlo, con pazienza e con un metodo solido.”
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