Riforma del Copyright approvata: tutto quello che c’è da sapere

Il Consiglio Europeo ha approvato la cosiddetta riforma del copyright, estesa anche a internet: così l’UE vuole tutelare gli autori dei contenuti online.

Approvata la direttiva europea sul diritto d’autore nel mercato unico digitale: ecco in cosa consiste la riforma del copyright, le posizioni di coloro che sono a favore o contrari, cosa cambierà, e la situazione in Italia.

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Il 26 marzo è stata approvata la cosiddetta Riforma del Copyright in Europa, con 348 voti favorevoli che hanno portato la proposta a divenire ufficiale per tutti i 28 paesi membri della Comunità Europea.
La nuova Direttiva 2016/0280 (COD) si occupa della regolamentazione della gestione e diffusione di materiale coperto da copyright, ovvero dal diritto di autore, oggi estesa anche alla rete internet.

La proposta, concepita nel lontano 2016, ha come intento quello di garantire il giusto compenso a coloro che producono contenuti, sia che si tratti di editori che di giornalisti, ma anche di musicisti e artisti in generale.
Al momento le piattaforme di giganti della tecnologia, come Google o Facebook, sono i principali player nella diffusione dei contenuti coperti da copyright: l’indicizzazione o la possibilità di condivisione dei contenuti protetti fino ad oggi non prevedeva la responsabilità per eventuali violazioni del diritto di autore, di competenza esclusiva del detentore del diritto.

Ciò che la nuova direttiva europea si prefigge di fare, invece, è ribaltare la situazione: la responsabilità in caso di violazioni del diritto d’autore è ora delle piattaforme che ne consentono la libera circolazione, che devono così garantire la tutela dei diritti relativi alla paternità delle opere di intelletto.

Per molti, questa manovra potrebbe essere un ulteriore strumento nelle mani della UE per tassare le grandi società del settore della tecnologia che, in alcuni casi, si dimostrano ancora inosservanti delle leggi fiscali europee.

Le due fazioni opposte

Già da diverso tempo in rete si sono diffuse le posizioni di coloro che si sono apertamente dichiarati contro la nuova riforma del copyright europea, mentre non sono pochi i gruppi interessati da questa inversione di tendenza autorizzata con la nuova normativa.
A grandi linee, editori e artisti si vedono finalmente riconosciuti tanto i diritti sulle proprie creazioni, quanto un – supposto – compenso sull’utilizzo del proprio lavoro, mentre dall’altra parte coloro che non sono d’accordo su quanto appena approvato dal Consiglio Europeo sostengono, indirettamente, le posizioni di colossi della tecnologia.

Oltre alla convenienza delle big corporation della tecnologia, gruppi di cittadini e alcune organizzazioni protestano a causa dei timori relativi alle conseguenze dell’applicazione della nuova legge europea.

Gli articoli della discordia

In particolare, sono due gli articoli della direttiva che hanno fatto più scalpore, ovvero l’articolo 11, precedentemente soprannominato “link tax”, e l’articolo 13, che oggi prende il nome di articolo 17.

L’articolo 11, relativo alla “Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale” recita:

  1. Gli Stati membri riconoscono agli editori di giornali i diritti di cui all’articolo 2 e all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/29/CE per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico.
  2. I diritti di cui al paragrafo 1 non modificano e non pregiudicano in alcun modo quelli previsti dal diritto dell’Unione per gli autori e gli altri titolari di diritti relativamente ad opere e altro materiale inclusi in una pubblicazione di carattere giornalistico. Essi non possono essere invocati contro tali autori e altri titolari di diritti e, in particolare, non possono privarli del diritto di sfruttare le loro opere e altro materiale in modo indipendente dalla pubblicazione di carattere giornalistico in cui sono inclusi.
  3. Gli articoli da 5 a 8 della direttiva 2001/29/CE e la direttiva 2012/28/UE si applicano, mutatis mutandis, ai diritti di cui al paragrafo 1.
  4. I diritti di cui al paragrafo 1 scadono 20 anni dopo l’uscita della pubblicazione di carattere giornalistico. Tale termine è calcolato a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo alla data di pubblicazione.

Mentre il testo dell’Articolo 13, sull’ “Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti” riporta:

  1. I prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno pubblico accesso a grandi quantità di opere o altro materiale caricati dagli utenti adottano, in collaborazione con i titolari dei diritti, misure miranti a garantire il funzionamento degli accordi con essi conclusi per l’uso delle loro opere o altro materiale ovvero volte ad impedire che talune opere o altro materiale identificati dai titolari dei diritti mediante la collaborazione con gli stessi prestatori siano messi a disposizione sui loro servizi. Tali misure, quali l’uso di tecnologie efficaci per il riconoscimento dei contenuti, sono adeguate e proporzionate. I prestatori di servizi forniscono ai titolari dei diritti informazioni adeguate sul funzionamento e l’attivazione delle misure e, se del caso, riferiscono adeguatamente sul riconoscimento e l’utilizzo delle opere e altro materiale.
  2. Gli Stati membri provvedono a che i prestatori di servizi di cui al paragrafo 1 istituiscano meccanismi di reclamo e ricorso da mettere a disposizione degli utenti in caso di controversie in merito all’applicazione delle misure di cui al paragrafo 1.
  3. Gli Stati membri facilitano, se del caso, la collaborazione tra i prestatori di servizi della società dell’informazione e i titolari dei diritti tramite dialoghi fra i portatori di interessi, al fine di definire le migliori prassi, ad esempio l’uso di tecnologie adeguate e proporzionate per il riconoscimento dei contenuti, tenendo conto tra l’altro della natura dei servizi, della disponibilità delle tecnologie e della loro efficacia alla luce degli sviluppi tecnologici.

Il testo integrale della proposta per la riforma del copyright può essere consultato in italiano online.

In soldoni, l’articolo 11 è quello che prevede il ricorso a licenze stipulate tra gli editori e le piattaforme di diffusione come Google o Facebook, per concedere a questi ultimi la possibilità di utilizzare opere protette dal diritto di copyright.
Questa concessione, inoltre, è regolata sulla base di un compenso monetario: in questo modo, il Parlamento Europeo si è attivato per ottenere più equità nel mondo del mercato digitale, provando a garantire un compenso anche agli autori dei contenuti che circolano sul web, grazie ai quali oggi soltanto poche grandi compagnie possono trarre la maggior parte dei benefici economici.

L’articolo 13 sul copyright, invece, che nella direttiva ufficiale prende il nome di articolo 17, prevede che la responsabilità delle violazioni del diritto di copyright sia delle piattaforme che permettono l’indicizzazione o la condivisione sul web.
All’atto pratico, ciò si traduce nell’applicazione di filtri che impediscano il caricamento non autorizzato di materiale coperto da copyright: sebbene alcuni servizi già offrono questo tipo di protezione, come ad esempio il sistema di Content ID di YouTube, data l’enorme mole di contenuti caricati ogni giorno su internet, al momento attuale questo tipo di scrematura sembrerebbe piuttosto difficile da attuare, nonostante gli strumenti e le tecnologie sempre più avanzate, e le preoccupazioni di molti si riconducono ad una sorta di censura indiscriminata dei contenuti online.

La “morte di internet”

Coloro che si sono opposti alla riforma del copyright si chiedono: se i grandi player della tecnologia, e di internet in particolare, sono in grado di esercitare un potere tanto forte da decidere le regole del gioco, la nuova direttiva europea potrebbe portare gli stessi ad abbandonare il territorio europeo?
In quest’ottica, se Google o Facebook – giusto per citare gli esempi più eclatanti – si rifiutassero di pagare per la concessione delle licenze da parte degli editori, ad esempio, le grandi testate giornalistiche potrebbero essere completamente tagliate fuori da ogni forma di indicizzazione o condivisione mediante le piattaforme stesse.

È comunque da considerare che la direttiva non obbliga i detentori di diritti d’autore ad agire secondo la nuova riforma del copyright: chi teme di essere danneggiato da questo punto di vista, può comunque rinunciare alla stipulazione di un contratto di licenza.

Tuttavia, Axel Voss, eurodeputato tedesco tra i principali promotori della riforma, ha respinto tutte le preoccupazioni, asserendo che la nuova normativa non ucciderà internet come paventato da alcuni, ma potrà migliorarlo, consentendo una distribuzione più equa dei benefici economici tratti dall’immissione dei contenuti online.

E Wikipedia?

In tanti si sono preoccupati per l’oscuramento di Wikipedia il giorno precedente la sentenza, ma in realtà la famosa enciclopedia online è esclusa dal discorso della riforma del copyright, così come i portali senza scopo di lucro, ma anche le creazioni come meme o GIF e le libere utilizzazioni per citazioni, critica, o parodie.
Inoltre, le regole non saranno così restrittive per le piccole start-up, permettendo loro di crescere senza ostacoli – almeno da questo punto di vista.

Cosa cambia realmente con la riforma del copyright

La nuova direttiva sul copyright porterà di sicuro a un cambiamento nell’internet che conosciamo noi oggi ma, a meno di uno stravolgimento nell’offerta dei contenuti, per gli utenti non cambierà nulla.
La situazione muterà per i giganti della tecnologia, che avranno l’obbligo di acquisire le licenze necessarie, e di attrezzarsi con appositi filtri per impedire le violazioni del diritto d’autore, oltre a diventare responsabili per queste ultime. Dal versante opposto, invece, gli autori o i detentori del diritto di copyright potranno godere di maggiori vantaggi soprattutto di tipo economico.

La situazione in Italia

L’Italia, in quanto membro dell’Unione Europea, è tenuta a recepire la nuova direttiva approvata dal Parlamento Europeo: ciò vuol dire che non può sottrarsi alla sua applicazione, ma può adattarla mantenendo fede alla sua posizione contraria, già espressa nel mese di febbraio insieme al Lussemburgo, Finlandia, Polonia e Paesi Bassi.
Anche in Italia dovrà essere rispettata la nuova direttiva, dunque, ma secondo l’adattamento modellato sul nostro ordinamento.

Conclusioni

Per molti il rischio è quello che ogni paese della Comunità Europea potrà avere un proprio adattamento alla nuova direttiva, rendendo ancora più complicate le cose, ma quel che è certo è che si tratta di una proposta avviata nel 2016, approvata nel 2019, e che entrerà definitivamente in vigore a partire dal 2021: un lasso di tempo davvero mastodontico per applicare una normativa con i ritmi accelerati di internet e i cambiamenti repentini della rete web.

Prima dell’attuazione definitiva, comunque, ci sarà tempo e modo di approfondire l’impatto della nuova direttiva nonché le sue modalità di applicazione, che al momento risulta ai più troppo generica e non ancora attuabile dal punto di vista tecnico su ogni specifico caso.

Ciò che possiamo trarre di buono, tuttavia, è che la riforma sta portando le persone a porsi domande circa la liceità della condivisione di materiale coperto da copyright, riportando il giusto focus sui diritti, spesso calpestati, dei creatori di contenuti.


Riforma del Copyright approvata: tutto quello che c’è da sapere - Ultima modifica: 2019-03-28T06:54:36+00:00 da Maria Grazia Tecchia

Giornalista, blogger e content editor. Ha realizzato il sogno di coniugare le sue due più grandi passioni: la scrittura e la tecnologia. Esperta di comunicazione online, da anni realizza articoli per il web occupandosi della tecnologia a più livelli.

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