Il meme è un’”idea, stile o azione che si propaga attraverso internet” (cit. Wikipedia). Solitamente si tratta dell’unità minima culturale possibile che deve la sua diffusione al suo rifarsi ad un immaginario collettivo. Uno dei miei preferiti è quello che riprende il concetto retrofuturistico del “nel 2018 guideremo tutti le auto volanti” salvo poi vedere […]
Il meme è un'”idea, stile o azione che si propaga attraverso internet” (cit. Wikipedia). Solitamente si tratta dell’unità minima culturale possibile che deve la sua diffusione al suo rifarsi ad un immaginario collettivo. Uno dei miei preferiti è quello che riprende il concetto retrofuturistico del “nel 2018 guideremo tutti le auto volanti” salvo poi vedere che nel 2018 siamo su Internet a cercare dei maglioni con delle lucette sopra. Insomma, Tim Berners-Lee non dev’essere molto soddisfatto dell’uso che facciamo della sua creatura, il Web.
Un altro visionario come lo scrittore di fantascienza Arthur C.Clarke, ritornando al filone del meme retrofuturistico e immaginando un futuro spaziale nelle sue opere, scrisse:
Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.
Ed è da questo concetto (oltre all’uso elementare della piattaforma Web) che bisogna partire per descrivere quella che è la digital trasformation più potente e silenziosa di quest’epoca: la percezione della credibilità degli utenti – prima di tutto persone – grazie agli strumenti digitali. Interiorizzato questo passaggio, possiamo comprendere quali sono i processi che portano le fake news a essere considerate più credibile delle notizie reali, senza fare tifoseria ma divulgazione.
Cos’è la credibilità e perché è in atto la trasmutazione della stessa
Una delle opere che mi ha più spinto in questa direzione, sono gli scritti di B.J. Fogg della Stanford University riguardante le Persuasive Technologies o tecnologie persuasive, ovvero come queste sono strutturate per sfruttare l’innata sospensione dell’incredulità che, come la magia, porta la tecnologia a farsi araldo di verità incontrastate. Parlo di questo specifico carattere semiotico, spero non a sproposito perché sembra proprio agire così: vi è un transfer di credibilità alla macchina (ecco la trasformazione digitale della percezione) immediato – come direbbe Fogg – guadagnato.
Infatti, fra i 4 tipi di credibilità che egli elenca (presunta, superficiale, stimata, guadagnata), risultano essere le più vicine alla credibilità reale. Quando abbiamo parlato, tempo addietro, di fake bot, adducendone il successo alla riprova sociale e al ritorno di credibilità che essi ottengono, come stimata dal punto di vista meramente quantitativo, non abbiamo considerato come sono le macchine stesse (o i contenitori di contenuti) quali Facebook e Google a rappresentare i nuovi signori del vapore digitale, ove il vapore è sostituito appunto dalla credibilità, che rischia di essere lo stesso fumosa.
Il principio di credibilità guadagnata e la percezione di essa
Il principio di credibilità guadagnata si fonda sulla capacità di rispondere a una richiesta in modo soddisfacente, per un periodo di tempo prolungato. Google gode della sua posizione di monopolista fra i motori di ricerca anche perché è ritenuto –a ragione -il più affidabile.
I siti visibili su Google sono considerati attendibili di riflesso, sebbene non siano posizionati tramite un criterio di qualità migliore piuttosto di congruenza con la domanda posta al motore di ricerca stesso.
Alla ricerca “vaccino si o vaccino no” non determina la risposta migliore possibile ma quella che, tramite l’algoritmo regolato dalla macchina, matcha/si incastra meglio alla domanda.
Google sta facendo significati passi in avanti per migliorare questa percezione di credibilità. Il suo ultimo update di Agosto 2018, Il Search Quality/Medic Update verte, nelle intenzioni, in questa direzione, andando a dare un maggior controllo ai contenuti your money or your life, liberamente traducibile con o la borsa o la vita, per via della rilevanza economica e di natura medica che essi possono avere sulla vita delle persone proprio per la credibilità che, in questa fase di trasformazione digitale, viene attribuita ai contenuti indicizzati.
Ed è per questo il motivo per cui Sundar Pichai, il CEO di Google, è costretto a spiegare il funzionamento del motore di ricerca al Congresso degli Stati Uniti, in una audizione che definire, in alcuni passaggi.. gustosa (“un omino che mostra i risultati di ricerca“) è il minimo. Qualche mese prima era toccato a Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, affrontare la classe politica, rispondendo con l’ormai iconico “Senator, we run ads” alla sospettosa domanda su come la Inc. ottenesse i suoi pantagruelici guadagni.
Certo, la responsabilità sociale e di guida nella trasformazione digitale di attori così importanti e onnivori del mercato digitale è una situazione del tutto inusuale nella storia, ma saremo qui per raccontarla.