Lavorare in remoto funziona? Quello che il digitale non può comunicare

Qual’è la comunicazione più efficace in azienda? Meglio recarsi in ufficio e vivere di persona il lavoro e i colleghi o meglio lavorare in remoto?

Da quando gli strumenti informatici sono entrati nella nostra vita, sono iniziati i dibattiti sulla possibilità di svolgere il proprio lavoro comodamente da casa senza doversi recare fisicamente in ufficio. Ma sarebbe davvero proficuo lavorare in remoto anziché fisicamente in mezzo a capo e colleghi? Studi recenti hanno dimostrato come molti avvenimenti non accadrebbero senza l’interazione faccia a faccia. Se consideriamo che fino al secolo scorso ci era quasi impossibile comunicare senza contatto fisico, si capisce che l’evoluzione tecnologica ha viaggiato sicuramente a una velocità superiore rispetto a quella con la quale si è potuto evolvere il nostro cervello che, a volte, è ancora fermo a quello che eravamo neanche tanti anni fa.

Il CONTATTO CREA LA FIDUCIA
Ogni volta che incontriamo una persona per questioni personali o di lavoro, entriamo in contatto fisico. Si tratti di convenzioni sociali, come una stretta di mano, o situazioni occasionali, come la cortesia di tenere la porta aperta, il contatto è assicurato e la sua potenza è grande. Secondo i ricercatori delle Università di Chicago e Harvard, stringere la mano provoca un accumulo di calore nel cervello che attiva i centri che controllano il senso di appagamento e ricompensa; è stato appurato, ad esempio, che la stretta di mano in affari di lavoro rende più aperti e onesti verso l’altro e permette di raggiungere obiettivi migliori.
“È una sensazione che non si può comunicare digitalmente” dice René Shimada Siegel, presidentessa e fondatrice della High Tech Connect “Le persone percepiscono l’energia cinetica”. Le videoconferenze possono riprodurre l’interazione vis à vis, ma manca un pezzo.

VIVIAMO DI EMOZIONI NASCOSTE
Uno dei più grandi studiosi della comunicazione non verbale, Albert Mehrabian, nel suo libro Silent Messages ha definito con questa equazione la nostra percezione: Totale delle espressioni= 7% espressioni verbali + 38% espressioni vocali + 55% espressioni facciali. Questo vuol dire che le espressioni del nostro viso dicono molto di più delle nostre parole. Ma soprattutto significa che inconsciamente non riusciamo a nascondere quello che siamo e proviamo: un attento osservatore potrebbe scoprire tutto guardando attraverso gli occhi e capire se l’interlocutore sta dicendo o meno la verità.

SIAMO SPECCHI DI EMOZIONI
Il neuroscienziato italiano Giacomo Rizzolatti ha sviluppato la teoria dei “Neuroni a specchio” secondo la quale quando assistiamo ad un’azione di una persona, i neuroni del nostro cervello associati a quella stessa azione entrano in funzione. Quando la persona davanti a noi sorride, anche una parte del nostro cervello sorride. È il contagio delle emozioni, non si può sottovalutare. Se vogliamo spiegare un nuovo progetto di lavoro ai nostri impiegati possiamo istruirli nei minimi dettagli attraverso un’email o una videoconferenza; ma, se vogliamo coinvolgerli e farli sentire parte integrante del progetto, è meglio sfruttare il potenziale della comunicazione di persona.

CI METTIAMO PIÙ ATTENZIONE
Inoltre in un incontro faccia a faccia il nostro cervello lavora di più. Siamo più attenti a cosa accade attorno a noi e facciamo continuamente nuove esperienze emozionali. In una conferenza video possiamo non accorgerci che il nostro interlocutore sta guardando il cellullare mentre parla con noi, ma di persona questo aspetto non ci può sfuggire. La presenza fisica, ad esempio a un meeting di lavoro, segnala che stiamo dando importanza all’argomento dell’incontro e alle persone che vi partecipano, anche solo per il tempo impiegato a parteciparvi.

LE PERSONE TI PIACERANNO DI PIÙ
Più vedi qualcuno, più è facile entrare in sintonia con lui. La maggior parte di noi desidera contatto con tante persone nella propria vita sociale, come in una “tribù” alla quale ci leghiamo con forza.

Questo non vuol dire che tutti sentano il bisogno di vedere i propri colleghi cinque giorni la settimana; anzi spesso chi lavora in remoto è più produttivo e riesce anche a ritagliarsi maggiori spazi per la propria vita privata. Probabilmente la soluzione ideale sarebbe quella di suddividere il proprio tempo lavorativo in due: dedicare il maggior parte del tempo (“core hours”) in ufficio a cui affiancare nelle restanti ore la flessibilità del lavoro da remoto. Questo permetterebbe di non snaturarci e di non perdere le interazioni faccia a faccia e contemporaneamente di avere tempo per svolgere il lavoro.


Lavorare in remoto funziona? Quello che il digitale non può comunicare - Ultima modifica: 2015-10-07T11:06:12+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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