L’intervista esclusiva a Jon Chang, Digital Marketing Director Kickstarter che racconta come il sito che ha rivoluzionato il crowdsourcing realizza la sua strategia marketing
Kickstarter ha rivoluzionato il modo del crowdsourcing, e non solo, ecco come funziona il suo marketing digitale in un’intervista esclusiva a Jon Chang, Digital Marketing Director Kickstarter
di Clara Ramazzotti, corrispondente da New York
Io e Jon Chang ci incontriamo direttamente a Greenpoint, quartiere bonificato e in espansione architettonica a Brooklyn. Lì si trova l’headquarter di Kickstarter, di cui Chang è Digital Marketing Director. Fin dal primo sguardo alla sede si intuisce lo spirito con cui è nata nel 2009 la “filosofia Kickstarter”, che ha dato via alle “public-benefit corporation”.
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Kickstarter come funziona
Un’enorme ex fabbrica in mattoni rossi, uffici open-space fruibili da chiunque abbia attivato un progetto e sia in cerca di sponsor (fino a oggi ne sono stati finanziati quasi 140.000 per una raccolta totale di 3,5 miliardi di dollari, di cui 382 milioni tornati al mittente da campagne che non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati).
Si tratta di un luogo costruito appositamente per attivare le sinapsi: la compagnia mette a disposizione aree creative dove sviluppare proposte on e offline, con un teatro, una biblioteca-museo, i terrazzi e i giardini. Nel mondo nativo digitale aziende come queste hanno una forte attrazione su creativi, giovani talenti, designer, blogger e ingegneri informatici, ma ciò che si sta imponendo è il potenziale formativo in seno a Kickstarter.
Kickstarter, il marketing che si insegna
“Nel mio lavoro, nei miei studi, marketing e didattica sono perfettamente combinati, due anime della stessa professione. Non c’è l’uomo-marketing e l’uomo-educatore perché per dare vita a una campagna, per lanciare un prodotto sul mercato, per aiutare i creativi a trovare ciò che serve, che è quello che facciamo con Kickstarter, bisogna anche fare i conti con ciò che abbiamo imparato negli anni dal digitale, dalla politica, dalle critiche dei media e bisogna studiare per arrivare a un pensiero strategico di buon livello”, mi conferma Jon Chang.
Sul sito dell’azienda ci sono quasi 4.000 progetti attivi e se al primo posto si trovano food, tecnologia e gaming, gli evergreen del mondo crowdfunding, subito dopo si notano le proposte giornalistiche, editoriali e multidisciplinari. È l’azienda stessa a confermare la missione a cui ambiscono: “building the culture of tomorrow”, dare vita a progetti che costruiscano la cultura di domani, autoprodotta ma con un potenziale di diffusione capillare e che mira già a un pubblico ben strutturato.
“Kickstarter è anche una community: scuole, musei, associazioni hanno preso la palla al balzo cercando finanziamenti per le loro idee. Se food e videogiochi sono scontatamente di successo, finanziare una mostra o un libro non è altrettanto scontato”.
Kickstarter in Italia
In Italia l’esempio forse più noto è “Storie della buonanotte per bambine ribelli” che raccolse oltre 1 milione di dollari in meno di un mese, a cui aggiungere le vendite e la diffusione di testi simili che hanno generato un trend (e presto arriverà il secondo volume).
“È l’esempio giusto, perché viviamo in un mondo che tiene in grande conto l’innovazione: credo che il digitale serva anche a innovare noi stessi, al miglioramento di sé. Abbiamo all’attivo progetti per ragazzi di terza e quarta generazione che vogliono ritrovare le loro radici pur essendo ormai naturalizzati americani, italiani, canadesi: questa è educazione, questa è scuola”, ciò che ci si aspetta nell’era Trump, dove se da un lato si rafforzano le differenze, dall’altro si cerca di restare legati a un percorso socio-storico comune.
La creatività di Kickstarter
Ogni grande azienda digitale sta reagendo a modo suo. “Kickstarter reagisce con la creatività. Un esempio è make/100, 470 creativi producono solo 100 pezzi unici del loro lavoro, con infinite possibilità. Chi crede in qualcosa è disposto a pagare per quello”.
Chiedo a Jon Chang se questa affermazione non sia in controtendenza con la scia di tecno-pessimismo con cui, fino a metà anni Duemila, abbiamo visto i social network e il World Wide Web: “So che la fiducia è un tema complicato in questo momento, ma la trasparenza resta ciò che un’azienda deve offrire al pubblico. Se scegli di finanziare il tuo progetto ci sono regole scritte nero su bianco, ci sono i benchmark, i dati di successo e insuccesso – anche economici – e facilmente reperibili. E sei autonomo sul progetto, non lo stai vendendo a una compagnia, è sempre e solo tuo”.
Questa indipendenza produttiva potrebbe essere la chiave della diffusione di una cultura del cambiamento: si parte da un libro che annulla gli stereotipi di genere e si potrebbe arrivare a generare e finanziare ciò che sposterà il pensiero del ventennio in arrivo.