I robot non uccideranno il lavoro. Elimineranno molti posti di lavoro esistenti, ma gli esseri umani ne creeranno di nuovi
Se volete riflettere su robot e lavoro pensate a Rogue One, l’ultimo episodio – adesso nelle sale – della saga di Star Wars. Di certo il film ha una schiera di sostenitori e una di scettici, ma al di là dei gusti personali, all’interno della pellicola c’è una star indiscussa: il K-2SO. I film che parlano del futuro spesso attingono molte tematiche da quelle che sono le nostre preoccupazioni o fobie e l’ultimo allarme diffuso sembra faccia temere l’arrivo dei robot, con conseguenze più o meno apocalittiche. I robot probabilmente non conquisteranno il mondo – almeno per ora – ma prenderanno piede tra i nostri posti di lavoro, sia negli uffici che nelle fabbriche.
Nel 1960 si paventava l’idea di automazione collegata a disoccupazione, ma i guru della tecnologia sostengono che i tempi siano ben diversi da 50 anni fa e che i sistemi di AI siano soltanto parte naturale dei nostri tempi.
Amazon, di recente, ha compiuto la prima consegna via drone. Un negozio di alimentari di Seattle si sta premurando di eliminare le code in cassa attraverso un sistema automatizzato. Molti stati federali statunitensi consentono già i test di auto a guida autonoma.
Indice dei contenuti
Il lavoro dei robot
Queste applicazioni della tecnologia riflettono i progressi straordinari dell’AI. La cloud robotics libera le macchine da un’esistenza autonoma e consente una condivisione di dati tra loro. La machine intelligence è fiorente come non mai nel deep learning e permette ai computer di formare associazioni al fine di prevedere risposte adeguate all’elaborazione di enormi volumi di dati.
Il risultato è che i robot sono pronti a prendere piede nelle linee di montaggio in cui esercitano strettamente le attività ripetitive nel mondo del lavoro. Innovazioni come i veicoli senza conducente e droni potrebbero invece falciare molti posti di lavoro nel settore del trasporto e delle consegne. Ma anche ruoli amministrativi e di supporto negli uffici sono in gioco.
Il 47% dei posti di lavoro americani sarebbero a rischio automazione in un lasso di tempo che andrà da 10 a 20 anni, secondo una stima della Oxford University del 2013. Il 35% dei lavori britannici potrebbe fare la stessa fine, qualcosa come 15 milioni di lavori resi automatizzati, quasi la metà di quelli attuali.
Ma questo panico diffuso è un’esagerazione.
Il lavoro non deve temere i robot
Innanzitutto, motivazioni di tipo politico e sociale potrebbero intralciare volutamente questo dilagare, come ad esempio, per le macchine a guida autonoma, anche molti altri lavori richiederanno sempre e comunque un insieme di caratteristiche in termini di flessibilità e capacità di giudizio che sono proprie di noi umani e difficili da sostituire.
Le stime di Oxford sono state ampiamente smentite da studi più recenti, secondo i quali i numeri delle potenziali perdite di posti di lavoro sono esageratamente gonfiati. Le potenziali perdite di lavoro sarebbero dovute a nuove e diverse modalità di lavoro, con un cambiamento dei compiti, come – ad esempio – nelle prenotazioni online oppure negli account con interazioni social. Prendendo in esame i compiti invece delle occupazioni, le stime si ridurrebbero a un 9% dei posti i lavoro americani a rischio a fronte di un 10% di quelli britannici, che potrebbero venir rimpiazzati dall’automazione.
Lavoro in meno o in più?
Però è ben più semplice parlare dei posti che potrebbero venir meno anziché concentrarsi su quelli che potrebbero venire a crearsi. Nel corso del 20esimo secolo le occupazioni nell’agricoltura negli USA sono passate dal 40% al 2%.
Due decenni fa il boom del dot-com iniziava a prendere piede, ma chi avrebbe mai immaginato un’esplosione del web come quella che viviamo giorno per giorno? E pensate a quanti posti di lavoro abbiano dato i social media e l’indotto ad essi collegato.
Al di là dei lavori che derivano direttamente dalle nuove tecnologie, ce ne sono una miriade tra quelli che vengono generati indirettamente grazie ad una maggiore produttività. Un’industria alimentare sempre più efficiente consente che le famiglie spendano meno in cucina casalinga e di mangiare fuori più spesso, creando posti di lavoro nei ristoranti. Più in generale, i consumatori possono contare su una gamma di acquisti discrezionali e, come conseguenza, si vengono a creare posti di lavoro del tutto nuovi come i personal trainer e le guide turistiche individuali.
Ma i nuovi posti di lavoro saranno meno di quelli che verranno distrutti?
Questa eventualità sembra essere del tutto improbabile.
I progressi nel campo dell’intelligenza artificiale sono solo l’ultima tappa di una rivoluzione che è in atto da ben più tempo sotto il nome di informatica, che risale al computer mainframe post Seconda Guerra Mondiale, alla diffusione di personal computer nel 1980 e ad Internet nel 1990. Eppure, nel corso di questi ondate, l’occupazione è aumentata.
La vera causa di preoccupazione non riguarda il numero di posti di lavoro, ma la loro qualità. L’automazione sembra destinata a ridurre gli impieghi nelle mansioni più routinarie, mentre la richiesta cresce tra gli addetti ai lavori tecnologici ad ogni livello di competenza, dalla più bassa alla più alta. La migliore delle risposte ad uno scenario che, in fondo, mette paura, sta proprio nel puntare sull’apprendimento e sulla creazione i percorsi di studio capaci di formare sulla base del nuovo know-how e dei nuovi requisiti in termini di competenze.
Nessuna Apocalisse
L’ipotesi apocalittica di un mondo senza lavoratori sembra essere del tutto infondata. Già Isaac Asimov – scrittore di fantascienza – aveva formulato le sue tre leggi della robotica in modo da assicurarsi che i robot non sarebbero impazziti prendendo potere sull’uomo. Una quarta legge diverrebbe quanto mai necessaria: i robot non uccideranno il lavoro. Elimineranno sì molti posti di lavoro esistenti, ma gli esseri umani ne creeranno di nuovi per rimpiazzare quelli andati persi.