Inter-Wet of Things: i vostri dati sono all’asciutto?

Inter-Wet of Things: i vostri dati sono all’asciutto? L’attualità degli ultimi mesi porta nella nostra vita quotidiana la questione ambientale.

Inter-Wet of Things: i vostri dati sono all’asciutto? Morire di pioggia, nel 2018, in Italia. L’attualità degli ultimi mesi porta nelle nostre case e nella nostra vita quotidiana la questione ambientale.

Di Antonella Tagliabue

Fanno riflettere le polemiche sullo studio dell’Ipcc (il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici), la cui pubblicazione è prevista nel 2022.In base agli accordi di Parigi entro la fine del secolo occorrerebbe limitare le emissioni di gas a effetto serra per contenere la crescita della temperatura media a un massimo di due gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali, rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi. Ma per Ipcc la soglia di 1,5 gradi sarà superata tra il 2030 e il 2052.

E secondo gli studiosi, la situazione sarà peggiore nel bacino del Mediterraneo, un’area chiusa in cui le temperature medie sono aumentate di 1,4 gradi centigradi, 0,4 gradi in più rispetto alla media globale.Per chi se lo fosse scordato il 24 ottobre in Italia si sono raggiunti i 30 gradi in Pianura Padana, un dato che non ha paragoni da quando si fanno misurazioni.

I fenomeni estremi sono un segnale che la Terra si sta scaldando

E bisogna guardare oltre l’emergenza e imparare a ragionare sul lungo periodo.Chissà se in questo aiuterà il clamore sollevato dalla pubblicazione del Living Planet Report 2018 del WWF secondo il quale la popolazione di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi è diminuita del 60% tra il 1970 e il 2014 che, in pratica, significa un crollo in meno di 50 anni. Nell’ultimo mezzo secolo l’impronta ecologica umana è cresciuta del 190%. Oggi meno del 25% della superficie terrestre è ancora in condizioni naturali. Nel 2050, se non si inverte la tendenza, la percentuale si abbasserà al 10%.

Cambiamento climatico e futuro

Sovrasfruttamento e modifiche degli ambienti naturali, cambiamento climatico, inquinamento, specie invasive, dighe e miniere causano il degrado dei suoli che mina il benessere di circa 3,2 miliardi di persone nel mondo.In pratica i nostri figli e nipoti potranno consumare il 33% di birra in meno secondo Nature Plants e a prezzi doppi. Avranno anche meno cioccolato perché il clima ostile ne ridurrà la produzione ma, secondo il Journal of Agricultural and Food Chemistry, quello coltivato in situazioni di stress sarà più ricco di antiossidanti come i fenoli. Avranno meno cioccolato dunque, ma più buono perché “adattivo”.

La cronaca recente dovrebbe aver fatto comprendere a tutti che il clima è un tema all’ordine del giorno e che non possiamo dare la natura per scontata. Il costo è troppo alto e non ce lo possiamo permettere. Allora bisognerebbe provare a pensare in modo diverso. Come hanno fatto alcuni ricercatori finlandesi che hanno prodotto cibo senza piante o animali. Utilizzano batteri, elettricità da pannelli solari, acqua, azoto e alcuni minerali come calcio, sodio, potassio e zinco. Il risultato è una sorta di polvere – Solar Foods – che contiene dal 50 al 60% di proteine, mentre per la restante parte è costituita da carboidrati e grassi. Certo la prospettiva non è allettante e si scontra con la nostra idea di cibo – e anche con una sorta di immagine bucolica dell’agricoltura, tra le principali responsabili dell’inquinamento – ma il prodotto ottenuto da batteri nutriti da idrogeno potrebbe essere usato come preparato alimentare.

Inter-Wet of Things

E comunque, se si utilizzasse questo sistema per coltivare tutte le proteine di cui il mondo ha attualmente bisogno basterebbe un’area di dimensioni inferiori all’Ohio. E il miglior posto per farlo sarebbe il deserto, dove abbonda il sole.In tutto questo, come l’Internet of Things può aiutare a salvare il pianeta? Cominciamo dai fatti. I data center sono responsabili del 3% dei consumi di energia a livello globale e sono in gran parte alimentati da fonti fossili. Ma servono per fare le previsioni sul clima e sul futuro del pianeta. Servono anche a stabilire, ad esempio, il livello di innalzamento dei mari che potrebbe, in una perversa logica karmica, portare al cosiddetto “Inter-Wet” of Things. Secondo uno studio delle Università dell’Oregon e del Wisconsin-Madison infatti oltre 4mila miglia di cavi Internet via terra potrebbero venire sommersi nei prossimi quindici anni e mille data center potrebbero essere sottoposti a frequenti inondazioni, perché vicini alle coste.

E il danno fisico non sarebbe l’unico perché, secondo S&P Global Ratings, l’aumento dei rischi ambientali farà crescere i costi di costruzione e manutenzione delle infrastrutture. L’Internet of Things si basa sull’idea dell’accesso costante e ininterrotto ai dati, e quindi a data center che devono sempre essere alimentati e refrigerati, in un mondo sempre più caldo.

Se non siete sensibili alla devastazione della natura e alla scomparsa delle specie animali, forse però siete sensibili ai dati – foto, post, video – che, tramite smartphone, parlano ogni giorno di voi e della vostra vita. I vostri dati sono al sicuro, all’asciutto e al fresco? Perché farà sempre più caldo e aumenteranno gli uragani. Quindi sarà bene cominciare a pensare che oltre ai giga c’è di più.

punto g


Inter-Wet of Things: i vostri dati sono all’asciutto? - Ultima modifica: 2018-12-17T14:53:38+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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