La Kiss-Cam, i Coldpaly, Astronomer e le regole delle big tech

Un abbraccio, una kiss-cam, il CEO e l’HR director di Astronomer: in 15 secondi si gioca la reputazione di un’azienda da 1,3 miliardi. Nel mondo delle big tech, l’amore sul lavoro non è più solo una questione privata. È potere, percezione, rischio. Il caso Astronomer è il punto di fusione tra relazioni, governance e viralità. E non è affatto un’eccezione.


L’abbiamo vista tutti la scena, LinkedIN (ma non solo) strabocca di filmati: Boston, concerto dei Coldplay, la kiss-cam che inquadra Andy Byron, CEO di Astronomer, abbracciato con Kristin Cabot, direttrice HR della sua stessa azienda da 1,3 miliardi di dollari, Chris Martin commenta ironica dal palco: “forse è in corso un “affaire”. In poche ore, il CEO si dimette. La direttrice viene sospesa. Un’azienda da 1,3 miliardi di dollari perde i suoi vertici per un abbraccio, per un inquadratura, una valanga di commenti, l’immagine intaccata.

Kiss-Cam-Astronomer-Coldplay

 

La reputazione di Astronomer dopo la Kiss-Cam

Quello che è successo ad Astronomer e ai due protagonisti non è solo gossip, è l’anatomia perfetta di come funzioni oggi l’ecosistema reputazionale nell’era digitale. La kiss-cam non ha catturato solo un momento intimo, ha fotografato l’intersezione tra tre dimensioni temporali diverse: il privato (l’abbraccio), il pubblico (il maxischermo) e il digitale (la viralizzazione). Tre sfere che un tempo erano separate e oggi collassano in un unico istante.

Byron e Cabot si sono trovati intrappolati in quella che possiamo definire una “trappola panoptica involontaria”: la trasformazione di uno spazio di intrattenimento in un tribunale morale globale, dove ogni gesto viene decodificato attraverso le lenti della governance aziendale. Non è stato il gesto in sé a condannarli, ma la sua trasmutazione in contenuto virale, in simbolo, in caso di studio. Byron e Cabot non erano in ufficio, non stavano negoziando un contratto, non rappresentavano ufficialmente l’azienda. Eppure, per esempio il  ruolo di CEO di Byron lo ha  simbolicamente sempre “in servizio”. Astronomer ha reagito con la velocità: identificazione della minaccia, isolamento, rimozione. La decisione di far dimettere Byron non è stata probabilmente presa per indignazione morale, ma per necessità sistemica. In un settore come quello del data engineering, dove la fiducia è l’asset principale, anche la percezione di comportamenti inappropriati diventa un rischio esistenziale.

L’algoritmo morale siamo noi

La velocità con cui la storia della Kiss-Cam si è propagata – 22.000 pubblicazioni in poche ore – non è casuale. I nostri feed sono ottimizzati per amplificare esattamente questo tipo di contenuto: il momento privato del potente reso pubblico, la caduta dell’autorità, la conferma che “anche loro sono umani” (anche i ricchi piangono, come ci ha insegnato Veronica Castro) seguita immediatamente dalla punizione.

La viralità funziona come un algoritmo morale: seleziona, amplifica e giudica secondo parametri che non sono né completamente razionali né completamente irrazionali, ma seguono le logiche dell’engagement. Il caso Byron-Cabot è diventato virale non perché particolarmente scandaloso, ma perché perfettamente calibrato sulle frequenze del nostro voyeurismo digitale collettivo.

 

Non è la prima volta nel mondo tech anche senza Kiss-Cam

Lo stesso meccanismo, ma in scala molto più ampia, è esploso nel 2018 in Intel, una delle aziende più potenti e influenti del mondo tecnologico. Brian Krzanich, allora CEO, fu costretto a lasciare il suo incarico non per uno scandalo di abusi, né per questioni di performance, ma per una relazione consensuale con una dipendente. Una relazione finita da tempo, ma mai dichiarata. Poco importava se fosse amore, leggerezza o distrazione: Intel aveva aggiornato il proprio codice etico in piena era post-#MeToo, e quel codice vietava esplicitamente relazioni tra dirigenti e subordinati. Anche retroattivamente.

In una nota ufficiale, Intel fu netta: «Un’indagine interna ha confermato che Krzanich aveva avuto una relazione consensuale con una dipendente, in violazione della Politica sulle Relazioni Personali. Ha rassegnato le dimissioni con effetto immediato». Nessuna accusa di molestie, nessuna denuncia. Solo la volontà dell’azienda di proteggere un principio: quando c’è asimmetria di potere, il consenso non è mai del tutto libero. E questo, in un ambiente di lavoro, è considerato inaccettabile.

Il caso Krzanich fu molto diverso da quello che colpì McDonald’s con Steve Easterbrook, il CEO che aveva nascosto più relazioni, favorito alcune dipendenti e persino usato email aziendali per scambi personali compromettenti. Lì ci furono menzogne, prove nascoste, frodi, e alla fine l’ex CEO dovette restituire oltre 100 milioni di dollari. In Intel, al contrario, non ci fu scandalo pubblico, né un’eco mediatica dirompente. L’uscita di Krzanich fu rapida, chirurgica, quasi silenziosa — ma servì a rafforzare l’immagine dell’azienda come seria e coerente, capace di far valere le proprie regole anche al vertice.

Ed è proprio questo il cuore del tema: oggi, nelle aziende tecnologiche, una relazione sul posto di lavoro non è più solo affare privato, ma una questione di governance, etica e reputazione. Quello che è successo ad Astronomer davanti alla kiss cam, o a Krzanich in una delle board room più potenti del mondo, racconta lo stesso messaggio: il potere, anche quando silenzioso, ha un peso che non può essere ignorato.

Relazioni sul posto di lavoro, lo squilibrio nascosto

Fino a pochi anni fa, in moltissime aziende — e non solo nelle realtà più tradizionali — le relazioni tra colleghi non erano affatto un problema. Anzi, spesso venivano tollerate, ignorate o trattate con una certa dose di discrezione, anche quando coinvolgevano ruoli gerarchicamente molto sbilanciati. In Italia, come in molte altre culture aziendali, non era raro che una storia nata in ufficio si trasformasse in un legame duraturo, talvolta persino in una famiglia. Nessuno si scandalizzava, nemmeno se uno dei due era un dirigente e l’altro un collaboratore: finché tutto filava liscio, la questione restava “privata”.

Poi però qualcosa è cambiato, e in modo irreversibile. Tra il 2017 e il 2018, con l’esplosione del movimento #MeToo, è emersa con forza una nuova consapevolezza: molte relazioni sul posto di lavoro, anche quando sembrano consensuali, nascondono squilibri profondi di potere. È diventato evidente che in certi contesti dire “no” non è affatto semplice, e che una relazione con un superiore può portare, anche inconsapevolmente, a pressioni, favori, silenzi forzati, o a un clima tossico per chi sta intorno.

Ma soprattutto, le aziende hanno capito che il rischio non era solo interno, ma reputazionale: una storia mal gestita poteva esplodere e danneggiare l’intera immagine aziendale. Così, molte multinazionali — in particolare quelle americane — hanno iniziato ad aggiornare in fretta i loro codici etici, introducendo regole chiare e vincolanti. Alcune hanno adottato una linea dura: “È vietato avere relazioni sentimentali o sessuali con persone direttamente o indirettamente subordinate.” Altre hanno preferito imporre l’obbligo di dichiarare qualsiasi coinvolgimento sentimentale tra colleghi che condividano responsabilità o livelli gerarchici.

Il concetto centrale è cambiato: non basta più che una relazione sia consensuale. Deve anche essere trasparente, tracciabile, e gestita con criteri di equità e quando c’è un rapporto di potere, la soglia di attenzione si alza, perché la libertà di scelta dell’altro può essere compromessa.
In breve, non è l’amore a essere messo in discussione, ma il potere.

Le regole adottate

 

Le Big Tech americane sono state costrette ad affrontare la questione in modo diretto, dopo scandali interni che hanno scosso i vertici aziendali. Google, Meta e Apple hanno risposto ognuna a modo suo, con stili e culture diverse, ma con un obiettivo comune: proteggere le persone e l’azienda dai rischi che nascono quando affari e sentimenti si intrecciano senza regole.

Vediamo allora come queste tre aziende affrontano oggi il tema delle relazioni sul posto di lavoro — con approcci che raccontano molto anche della loro identità profonda.

 

Meta: trasparenza obbligatoria e attenzione al potere

Meta è stata tra le prime Big Tech a prendere posizione netta sul tema. Non vieta le relazioni sul lavoro, ma ha stabilito delle regole molto precise, soprattutto se tra i due colleghi c’è una differenza gerarchica.

Se un dipendente ha una relazione con qualcuno che riporta a lui direttamente o indirettamente, deve dichiararlo alle risorse umane. A quel punto, l’azienda può intervenire: o cambiando il team di uno dei due, o riassegnando i ruoli per evitare conflitti di interesse o favoritismi, anche solo percepiti.

Meta prende molto sul serio il principio secondo cui il potere può influenzare il consenso, anche se nessuno si lamenta. L’obiettivo è evitare situazioni ambigue che potrebbero sfociare in segnalazioni, malumori o problemi reputazionali.

 Google: una sola occasione, poi scatta la policy

Google è forse l’azienda che ha reagito in modo più deciso dopo lo scandalo Andy Rubin (ex VP, creatore di Android), accusato di comportamenti inappropriati in una relazione non dichiarata. Da quel momento, la linea è cambiata radicalmente.

Le relazioni sentimentali tra colleghi non sono vietate, ma ci sono regole molto rigide:

  • Se vuoi uscire con un collega, puoi chiederglielo una sola volta.
  • Se ti dice no, non puoi riprovarci. Qualsiasi ulteriore approccio può essere considerato molestia o pressione.
  • Se c’è una relazione con qualcuno che lavora nel tuo team o sotto di te, va dichiarata ufficialmente.
  • In molti casi, Google riassegna i ruoli per evitare situazioni di dipendenza gerarchica.

In più, l’azienda pubblica rapporti annuali in cui dichiara quanti provvedimenti ha preso per comportamenti inappropriati. È una politica pensata per prevenire e proteggere, ma anche per mandare un messaggio: nessuno è al di sopra delle regole, nemmeno un dirigente.

 

Apple: riservatezza massima, ma le regole ci sono

Apple è molto diversa dalle due precedenti. La sua cultura aziendale è molto più chiusa e riservata, e raramente rende pubbliche le proprie policy interne. Ma questo non significa che non esistano regole.

Anche ad Apple le relazioni sul lavoro non sono vietate, ma vengono monitorate attentamente. Quando emergono dinamiche sentimentali all’interno di un team, soprattutto se coinvolgono ruoli di supervisione, le risorse umane intervengono. In genere, lo fanno senza clamore, spostando le persone coinvolte o ridefinendo le responsabilità, per evitare favoritismi o problemi di morale nel gruppo.

Non ci sono state (finora) grandi controversie pubbliche, ma l’azienda ha rafforzato i controlli dopo il 2018, in linea con quanto fatto dalle altre big tech. Solo che, nel tipico stile Apple, tutto avviene dietro le quinte, senza comunicati stampa o proteste visibili.


La Kiss-Cam, i Coldpaly, Astronomer e le regole delle big tech - Ultima modifica: 2025-07-20T18:48:50+00:00 da Francesco
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