Da sempre la questione ambientale ha a che fare con il futuro e le prossime generazioni. La questione ambientale, tra ricerca della verità e sfide per le nuove generazioni. Ora L’amministrazione Trump chiama in causa Dio per sfruttare carbine e gas al posto di sole e vento
La questione ambientale sull’energia ha un nuovo capitolo biblico. A inizio marzo il Presidente Usa Donald Trump e il Segretario degli Interni Ryan Zinke hanno ricevuto una lettera firmata da alcune centinaia di leader religiosi che dichiaravano inaccettabili le perforazioni off-shore alla ricerca di gas e petrolio, a causa dei rischi a cui venivano sottoposti gli oceani e le comunità costiere appartenenti a Dio. “Come gente di fede abbiamo il dovere di amare il prossimo. L’oceano fornisce cibo e mezzi di sussistenza a milioni di persone”.
La loro opinione è che nessuna impresa possa garantire la salvaguardia di ambiente ed ecosistemi. Per questo l’Amministrazione dovrebbe focalizzarsi su sole e vento e su ciò che massimizza l’efficienza energetica, allo scopo di fare profitto, beninteso.
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La questione ambientale, Trump e la volontà di Dio
La lettera è una risposta all’annuncio di Zinke di inizio gennaio sulla possibilità di considerare nuove perforazioni in nome della prosperità dell’America.
Ma anche Scott Pruitt, nominato da Trump direttore dell’Epa (l’Agenzia per la protezione dell’Ambiente), notoriamente scettico sui cambiamenti climatici, contrario agli accordi di Parigi e considerato troppo vicino all’industria di petrolio e carbone, chiama in causa Dio.
Pruitt dice che un buon cristiano deve usare gas e carbone, risorse naturali create a beneficio dell’uomo. Il richiamo è alla Genesi (1:28): “Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra»”.
Forse a sciogliere i dubbi sulla volontà di Dio e i termini del patto con gli uomini ci penserà Hollywood.
La questione ambientale e il film First Reformed di Paul Schrader
Il 22 giugno è prevista l’uscita di First Reformed di Paul Schrader, un film presentato a Venezia, con Ethan Hawke e Amanda Seyfried. Un’opera complessa sulla perdita della fede, degli affetti e del pianeta, il cui protagonista è un reverendo in crisi con le sue convinzioni più profonde.
“Non credo che l’umanità sopravvivrà a questo secolo” dice Schrader che affida a un solo uomo il compito di espiare le proprie colpe e quelle del mondo.
“Dio ci potrà perdonare?” si chiede ossessivamente il protagonista. “Potrà perdonarci per aver distrutto la Sua creazione?”. Il dubbio è così feroce che uno dei
co-protagonisti del film ritiene che sia ingiusto far nascere un figlio in un mondo che si autodistrugge e finisce per commettere suicidio.
Secondo Billy Graham, predicatore recentemente scomparso e consigliere spirituale di molti Presidenti Usa, dobbiamo ricordare che tutto ciò che abbiamo viene da Dio e “ch’egli tiene in mano l’anima di tutto quel che vive, e lo spirito di ogni essere umano” (Giobbe 12:10).
In questa ricerca di verità una delle poche certezze è che in realtà non toccherà a noi scogliere questi nodi.
La questione ambientale e la generazione Z
Da sempre la questione ambientale ha a che fare con il futuro e le prossime generazioni.
Secondo uno studio condotto da Barna però la generazione Z, i post millennial, nati tra il 1997 e il 2010, è la meno credente di tutte.
E, secondo David Kinnaman, presidente di Barna Group, “molte chiese stanno dicendo ai giovani di prepararsi ad affrontare un mondo che non esisterà più come lo conosciamo oggi”.
La generazione Z è la più affollata del pianeta ed entro il 2020 rappresenterà un terzo della popolazione mondiale.
C’è chi sostiene che sarà la generazione della riscossa, per vari motivi.
Recentemente la Bbc ha condotto un’inchiesta su questi giovani, analizzando diverse fonti e ricerche.
Secondo gli studi i ragazzi Zeta saranno in grado di bilanciare realtà e virtuale, al contrario dei loro predecessori sempre attaccati a un device.
Inoltre, saranno alla ricerca di nuovi valori.
Di fatto sono la prima generazione a essere online sin dalla nascita ma sembra che vivano i social media come un mezzo per uscire nel mondo reale.
E ritengono che il social networking possa cambiare il mondo in positivo: un pianeta più felice, sostenibile, salutare.
Hanno fame di connettersi e condividere le proprie idee e cercano nuove forme di attivismo e partecipazione.
Chissà se saranno anche affamati di giustizia.
Per un diritto dell’ambiente
Nel corso degli ultimi anni il numero degli omicidi di persone impegnate in campagne per l’ambiente è cresciuto costantemente.
Per proteggere gli attivisti, secondo John Knox, relatore per i diritti umani e dell’ambiente all’Onu, i tempi sono maturi per il riconoscimento del diritto universale a un ambiente salutare. In primis per proteggere quegli attivisti che rischiano la vita per salvare acqua, terra, foreste. E poi perché i diritti dell’ambiente sono stati spesso considerati separati dai diritti umani, in molti casi non hanno ottenuto un riconoscimento formale.
La proposta di Knox è di collegare il benessere degli uomini a quello dell’ambiente, in una logica interconnessa, perché l’uno non può fare a meno dell’altro.
Intanto noi possiamo sperare che la generazione Z lasci un segno e che abbia ragione il protagonista del film First Reformed quando afferma che “ogni atto di conservazione è un atto di creazione”.
La questione ambientale: Salviamo il respiro della Terra
Una ricerca itinerante ha come obiettivo il monitoraggio dell’esposizione dei bambini alle polveri sottili. Il progetto “Salviamo il respiro della Terra” parte da Napoli per iniziativa di Anter (Associazione nazionale tutela energie rinnovabili). La concentrazione di polveri sottili è più dannosa negli ambienti chiusi, dove passiamo l’80% del nostro tempo. I bambini sono più esposti e vulnerabili, come dimostra l’aumento dei casi di asma, bronchiti ed enfisemi. La ricerca verrà supportata dalla Federazione Italiana Medici Pediatri e sarà svolta in diverse città di Italia, da nord a sud.
Chiamateli Green Bond
Buon compleanno Green Bond. Le obbligazioni emesse per sostenere progetti ambientali hanno compiuto dieci anni, un buon momento per fare un bilancio. Si tratta di un mercato che vale 315,4 miliardi di dollari a fine 2017. Al 31 ottobre 2017, il totale delle emissioni di quell’anno superava i 100 miliardi di dollari, in crescita rispetto ai 93 miliardi raggiunti nel 2016. Si tratta del quinto anno da record consecutivo di emissione sul mercato, che è stato a lungo dominato dalla Banca Mondiale, ma vede il crescente interesse di nuovi emittenti. Anche gli stati nazionali sono sempre più interessati. La Polonia è stata il primo paese ad emettere Green Bond mentre le isole Figi, in occasione della recente presidenza del vertice sul cambiamento climatico Cop 23, hanno proposto un’emissione obbligazionaria di Green Bond di quasi 50 miliardi di dollari, diventando il primo paese emergente a emettere un’obbligazione di questo tipo.
di Antonella Tagliabue*
**Antonella Tagliabue: Amministratore delegato della società di consulenza strategica di Un-Guru, esperta di sviluppo sostenibile. Laureata in Scienze Politiche, con specializzazione in Storia e Istituzioni dell’America Latina. Si è occupata di comunicazione e marketing per multinazionali e gruppi italiani. Da anni si occupa di Green Economy e di responsabilità sociale e ambientale d’impresa, insegna in corsi e master. “Penso che la sostenibilità debba essere una scelta, prima che un dovere, ma che debba essere strategica e, quindi, responsabile. Quando parlo del Pianeta lo faccio con la P maiuscola e credo che il rispetto per la vita in senso biologico debba essere un istinto”. Leggo, viaggio e scrivo per passione. Camus diceva: “Sono contro tutti coloro che credono di avere assolutamente ragione. Per questo pratico il dubbio, coltivo i miei difetti, cerco di sbagliare sulla base di ragionevoli certezze e mantengo un ottimismo ostinato”.