L’Italia è un paese di innovatori moderati. Emerge dall’European Innovation Scoreboard 2016, che ogni anno fornisce un’analisi comparativa dei paesi europei
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L’Italia è un innovatore moderato. È quanto emerge dall’European Innovation Scoreboard 2016, che ogni anno fornisce un’analisi comparativa delle performance di innovazione dei paesi europei e stila la classifica di quelli con maggiore capacità.
*di Angela Perego
Qualcuno potrebbe pensare che è una buona notizia, ma se si approfondisce l’analisi si scopre che 17 paesi innovano più di noi ed essere “moderati” in questo caso non è una qualità. La nostra capacità di innovazione è in continuo anche se lento aumento, ma ciò sicuramente non consola: l’Italia è al di sotto della media europea nella maggior parte dei parametri considerati per il calcolo del SII (Summary Innovation Index).
Se è innegabile che molte delle innovazioni che hanno cambiato il mondo hanno un padre italiano (il telefono, l’energia elettrica, l’elicottero, il personal computer, l’Mp3, la plastica, ecc.) molti potrebbero domandarsi: dove è quindi finito il famoso e riconosciuto ingegno italiano?
Non si è dissolto, fa solo fatica a incardinarsi in un sistema di innovazione equilibrato, che trae la sua forza ed energia da un adeguato mix di investimenti pubblici e privati, da partnership tra imprese e mondo accademico, da una solida base di istruzione e da una ricerca di eccellenza.
Infatti, se si analizzano nel dettaglio i singoli indicatori che concorrono alla determinazione del Summary Innovation Index, emerge chiaramente come i nostri punti deboli siano il livello di spesa pubblica in ricerca e sviluppo, il grado di cooperazione internazionale del nostro sistema di formazione e ricerca e la costruzione di accordi di collaborazione tra aziende e tra soggetti pubblici e privati.
Le Pmi sono le più innovative
Ottime sono le performance relative agli indicatori che fotografano la capacità delle piccole e medie imprese di fare innovazione in-house, dove l’Italia è in settima posizione. Bene anche l’introduzione di innovazioni di processo e prodotto (ottava posizione) e le innovazioni di marketing e organizzative, dove l’Italia sale alla sesta posizione. Se si guardano poi i valori puntuali di questi indicatori, si nota che le differenze tra i diversi paesi che occupano le prime posizioni sono davvero esigue, le piccole e medie imprese italiane quindi hanno tutte le carte in regola per competere a livello internazionale e assumere posizioni di leadership sul mercato.
A conferma di ciò, il numero delle startup innovative in Italia cresce in maniera esponenziale: negli ultimi quattro anni è aumentato con un tasso medio annuo del 67%. A oggi sono operative 6.262 startup, quasi il triplo rispetto a soli due anni fa. Il dato però più interessante e significativo è relativo al tasso di mortalità delle startup che si attesta intorno all’1%. Quest’ultimo numero può apparire anomalo, considerando il fatto che siamo in ambito di sperimentazione e lancio di nuove idee, ma considerando il contesto economico attuale forse diventa comprensibile.
Il nostro posizionamento nei ranking internazionali nelle posizioni di coda è quindi figlio sostanzialmente della nostra incapacità di fare sistema e collaborare. Se però si guardano gli indicatori presentati nel Regional Innovation Scoreboard 2016 (declinazione a livello regionale di 12 dei 25 indicatori utilizzati nell’European Innovation Scoreboard) si nota che, fortunatamente, questo problema in alcuni territori è stato superato: il Piemonte e il Friuli-Venezia Giulia sono definiti infatti “Strong Innovator”. Se si guardano poi i dati degli anni passati, si scopre che nel 2014 anche Lombardia ed Emilia Romagna erano “Strong Innovator”. Queste sono le regioni che ospitano il maggior numero di startup innovative: la Lombardia ne ospita 1.285, pari al 21,6% del totale, l’Emilia-Romagna 703 (11,8%), il Lazio 601 (10,1%), il Veneto 450 (7,6%) e il Piemonte 387 (6,5%).
Quindi forse non è impossibile costruire un sistema italiano di innovazione equilibrato se ognuno, istituzioni pubbliche e soggetti privati, facesse la sua parte.
*Angela Perego
Angela Perego è docente della Unit Sistemi Informativi di SDA Bocconi. Ha conseguito il Dottorato in Sistemi Informativi Aziendali all’Università Luiss Roma e il phD in Sciences de Gestione al Paris Dauphine nel 2009. Dal 2003 al 2008 è stata membro del Comitato Divisione Ricerche Claudio Demattè