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Il linguaggio e la scrittura inclusiva

di Massimo Rossi, giornalista e avvocato

Perché cameriera, commessa, sarta, segretaria, operaia e non anche sindaca, avvocata, ministra, magistrata, assessora?
L’apparente banalità del quesito aiuta in realtà a introdurre un tema che si sta facendo di grande attualità e che sta attivando un animato dibattito che coinvolge istituzioni, intellettuali, associazioni femministe (per prime), cattedratici e media.
Linguaggio e riconoscimento

Massimo Rossi, giornalista e Avvocato

È il tema dell’uso della lingua come strumento di riconoscimento della soggettività femminile – e anche di soggettività “altre” – mirato a una autentica e definitiva parità di diritti fra donne e uomini.
Se di certo possono infatti considerarsi superati i tempi (come leggo sull’ultimo numero di MicroMega) in cui tale Ferdinando Loffredo – considerato all’epoca stimato e ascoltato ispiratore intellettuale delle politiche sociali e della famiglia del regime fascista – poteva scrivere nel 1938 (Politica della Famiglia): “La indiscutibile minore intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia”, è anche vero che il cammino appare ancora lungi dal potersi considerare concluso.
L’adeguamento della lingua a una effettiva parità si scontra infatti ancora oggi contro una sorta di pigrizia intellettuale che, passando attraverso un malinteso riconoscimento di valore all’ “abitudine” o attraverso l’affermazione di un più sottile “benaltrismo” (ci sono cose ben più importanti di cui occuparsi), tende sostanzialmente a privilegiare lo “status quo” se non addirittura un subliminale stato di sottomissione.

 

Inclusione e Diritto di voto

Del resto, non c’è da stupirsi se in Italia alle donne fu riconosciuto il diritto di votare e di essere votate soltanto con una Legge del 10 marzo 1946, una volta conclusasi l’esperienza del ventennio fascista.
A favorire il passo in avanti però, come spesso accade nel nostro paese, era stata una precisa dichiarazione di apertura sul tema del Vaticano, che attraverso le parole di papa Pio XII del 12 ottobre 1945, aveva sancito il cambiamento della Chiesa sullo spinoso argomento della parità femminile.
Fatto sta che il Referendum del 2 giugno 1946 su Monarchia o Repubblica segnò anche la prima volta del voto politico femminile, e chissà quale sarebbe stato l’esito del Referendum se le donne non avessero votato. Difficile dirlo, ma mi piace pensare che le donne siano sempre più avanti dei maschi nel proporre il cambiamento.
Restando in tema va detto che è della Finlandia il primato del voto alle donne, conquistato già nel 1906, mentre in un paese come la Svizzera hanno dovuto aspettare fino al 1971, e in Arabia Saudita addirittura fino al 2011.

Donne e magistratura

Non va tuttavia dimenticato, sempre al proposito, che nonostante la nostra Costituzione entrata in vigore il primo gennaio del 1948 contenga tre articoli fondamentali (3/37/51) che sanciscono la piena parità uomo/donna anche sul piano del lavoro e degli uffici pubblici, ci sono voluti ben 15 anni prima che le donne fossero ammesse ai concorsi per diventare magistrato. Il primo è stato quello del 3 maggio 1963 e oggi le donne magistrato sono ormai il 50% del totale dei togati.

Scrittura inclusiva

Tornando comunque al tema dell’uso del linguaggio, va anche detto che sul fronte opposto si sta invece moltiplicando l’impegno di chi (scrittori, traduttori, giornalisti, accademici) si sforza di supportare al massimo una scrittura più inclusiva del femminile, o quantomeno il ricorso a una terminologia più neutra, come ad esempio “essere umano” o “umanità” al posto del sostantivo comune “l’uomo”.
Di certo il discorso porta poi a una estensione più ardua dell’uso di un linguaggio paritetico e non discriminatorio se solo pensiamo appunto alla tutela, ormai obbligatoria, di altri soggetti fuori dagli schemi rigidi del binarismo maschile femminile.
Il dibattito si sta facendo recentemente acceso sull’invenzione e l’utilizzo di particelle “neutre” come l’asterisco (*), la chiocciola (@) o lo schwa (la mia tastiera non lo sa riprodurre ma è una specie di “e” rovesciata) che, sostituendo la desinenza di sostantivi e aggettivi maschili e femminili, mirano a includere ogni altra attuale manifestazione di genere (es. amic*; ragazz@ e via di seguito).
Un dibattito che tuttavia non deve essere confuso con quello, altrettanto attuale e altrettanto interessante – ancorché ben più divisivo – sull’uso di parole che, privilegiando un genere neutro, non si pongano come possibile offesa a valori etici o religiosi di diversa appartenenza.
È recente, al proposito, la forte polemica suscitata dal suggerimento europeo di sostituire locuzioni come “Buon Natale” con un più neutro “Buone Feste”.
Il tema è molto ampio e in piena evoluzione.


Il linguaggio e la scrittura inclusiva - Ultima modifica: 2022-02-01T07:42:11+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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