Il colosso di Menlo Park rifiuta il framework volontario europeo mentre OpenAI si allinea al Codice di Condotta UE per l’AI (GPAI): una spaccatura che apre opportunità competitive per chi sa anticipare la compliance. Dai rischi di supply chain alle strategie operative, ecco come trasformare l’incertezza normativa in vantaggio competitivo prima del 2 agosto 2025.
L’industria tech europea si spacca sul nuovo framework normativo: mentre OpenAI si allinea, Zuckerberg sceglie la resistenza contro il GPAI. La Commissione Europea ha pubblicato il tanto atteso Codice di Condotta per i modelli di Intelligenza Artificiale di uso generale (GPAI). Una settimana dopo, Mark Zuckerberg ha fatto una scelta che potrebbe ridefinire gli equilibri del mercato AI europeo: Meta non lo firmerà.
Non si tratta di una semplice dichiarazione di principio. È una mossa strategica che apre scenari competitivi, reputazionali e normativi destinati a impattare direttamente sulle scelte tecnologiche delle imprese italiane nei prossimi 24 mesi.
Indice dei contenuti
GPAI: la frattura che nessuno si aspettava
Mentre altri giganti tech come OpenAI hanno mostrato disponibilità ad aderire al framework volontario, Meta ha scelto una strada diversa. Joel Kaplan, Chief Global Affairs del gruppo di Menlo Park, ha definito il Codice GPAI un “overreach” che rischia di soffocare l’innovazione europea creando incertezze giuridiche. La narrativa è chiara: perché impegnarsi in commitments extra-legali quando l’AI Act europeo definirà comunque gli obblighi vincolanti? Meta preferisce conservare velocità d’iterazione e forza negoziale sugli standard emergenti, piuttosto che irrigidire le proprie roadmap tecniche attraverso impegni anticipati. Ma c’è un problema: questa strategia apre spazi competitivi enormi ai concorrenti che scelgono l’allineamento preventivo.
Cosa prevede davvero il Codice GPAI (e perché Bruxelles ci tiene)
Il documento pubblicato dalla Commissione non è un capriccio burocratico. È un dispositivo anticipatorio progettato per orientare le prassi su risk assessment, documentazione e trasparenza prima che scattino le sanzioni formali dell’AI Act.
Gli impegni chiave includono:
- Trasparenza operativa: documentazione completa dei modelli, sintesi dei dataset utilizzati, tracciamento delle fonti per il copyright
- Risk assessment strutturato: protocolli di valutazione per modelli classificati a “rischio sistemico”
- Incident reporting: notifiche rapide all’AI Office europeo in caso di malfunzionamenti
- Cybersecurity avanzata: misure di protezione specifiche per i modelli più potenti
Per Bruxelles, si tratta di ridurre il bisogno di indagini pesanti e accelerare la maturazione di un ecosistema di accountability. Un ponte verso la compliance piena, non un ostacolo all’innovazione.
Cos’è il Codice di Condotta GPAI (e cosa NON è)
Il General‑Purpose AI (GPAI) Code of Practice è un instrumento volontario di soft law pubblicato dalla Commissione Europea il 10 luglio 2025 dopo un processo multi‑stakeholder guidato da 13 esperti indipendenti: serve da ponte operativo per aiutare i provider di modelli di AI di uso generale ad allinearsi in anticipo agli obblighi giuridicamente vincolanti dell’AI Act (entrata in applicazione delle prime norme GPAI il 2 agosto 2025), riducendo oneri amministrativi e incertezza legale per chi lo sottoscrive.
Il Codice GPAI è strutturato in tre capitoli: Trasparenza, Copyright e Safety & Security. I primi due forniscono modelli pratici (es. Model Documentation Form, sintesi dei contenuti di training, policy di rispetto del diritto d’autore) per dimostrare conformità agli obblighi di trasparenza dell’Art. 53 (documentazione tecnica, sintesi dataset, policy copyright), mentre il terzo capitolo offre pratiche avanzate solo per i provider dei modelli classificati a rischio sistemico ai sensi dell’Art. 55 (valutazioni di sicurezza, mitigazione, test avversari, incident reporting).
La nozione di rischio sistemico fa riferimento ai potenziali danni su larga scala derivanti dai modelli più avanzati e si collega (anche attraverso linee guida e Q&A) a criteri di capacità tra cui la soglia di calcolo di 10^25 FLOPs: superarla crea una presunzione di appartenenza alla fascia che richiede obblighi aggiuntivi (valutazioni rischio, notification duty), pur consentendo al provider di contro‑argomentare.
Cosa FA quindi il Codice GPAI: (1) anticipa processi di documentazione standardizzati; (2) canalizza pratiche di sicurezza e mitigazione concentrate (adversarial testing, misuse monitoring, incident escalation); (3) crea un segnale reputazionale e di compliance readiness verso regolatori e clienti enterprise; (4) promette minore incertezza rispetto a prove di conformità ad hoc. Cosa NON FA: non è legge vincolante, non sostituisce né sospende gli obblighi dell’AI Act, non garantisce immunità da indagini o sanzioni, non equivale a certificazione o CE mark, non sostituisce un programma interno di risk management e non elimina la necessità di clausole contrattuali robuste con gli utenti aziendali.
Infine, il Codice GPAI non è un “silver bullet”: l’adesione riduce friction cost iniziale ma richiede capacità interne di raccolta log, governance dei dati, tracciabilità delle versioni modello e processi cross‑funzionali (legale, sicurezza, prodotto). Chi non lo firma resta comunque soggetto al perimetro dell’AI Act e può affrontare maggiore scrutinio regolatorio e mediatico, come dimostra il caso Meta che ha invocato “overreach” e “legal uncertainties” nel rifiuto, mentre altri player (OpenAI, Microsoft, Mistral) segnalano o indicano disponibilità alla sottoscrizione per capitalizzare sul vantaggio di fiducia precoce
Le date da cerchiare in rosso per il GPAI
La timeline regolatoria non aspetta le decisioni di Meta. Gli obblighi per i modelli GPAI iniziano ad applicarsi dal 2 agosto 2025, con enforcement progressivo che si completerà verso il 2026-2027.
I primi step includono trasparenza, documentazione e sintesi dei dataset. Per i modelli classificati a “rischio sistemico”, arriveranno requisiti più stringenti: test avversari, incident reporting strutturato, misure di cybersecurity avanzate.
Le sanzioni? Fino al 7% del fatturato globale per le violazioni più gravi. Non esattamente un costo trascurabile, anche per colossi come Meta.
Rifiuto di Meta al GPAI : un’opportunità per le aziende italiane
Dietro al rifiuto di Meta di sottoscrivere il Codice di Condotta per l’Intelligenza Artificiale (GPAI) si cela un’opportunità che molte aziende italiane, in particolare PMI e realtà del mid-market, possono cogliere con lungimiranza. Quello che a prima vista può sembrare solo un disallineamento tra un big tech e l’Europa, in realtà apre una finestra competitiva per chi decide di muoversi in anticipo, scegliendo fornitori e partner tecnologici già orientati alla conformità.
Questa scelta strategica si traduce in vantaggi concreti, soprattutto in fase di selezione di soluzioni enterprise e nelle gare pubbliche. Immaginiamo il primo scenario: un’azienda italiana deve decidere tra una soluzione basata su tecnologia Meta – che ha rifiutato l’adesione al Codice – e una sviluppata su OpenAI, che invece ha dato disponibilità alla firma. A parità di performance tecniche, quale delle due rappresenta un rischio normativo e reputazionale inferiore, specialmente in un contesto contrattuale con la Pubblica Amministrazione o grandi aziende soggette a vincoli di compliance europea? La risposta è chiara: l’adesione volontaria al Codice GPAI diventa un criterio di selezione, un vantaggio competitivo implicito.
Secondo scenario: un system integrator italiano sviluppa competenze specifiche in materia di governance dell’AI e si dota di un “AI Governance Pack”, un kit di policy, audit trail, documentazione e procedure che rispecchiano gli standard del Codice. In fase di gara pubblica, questo approccio può ridurre drasticamente i tempi di due diligence richiesti dall’ente appaltante, accelerando la firma del contratto e posizionando l’azienda in vantaggio rispetto a concorrenti meno preparati. In un’epoca in cui il time-to-contract è spesso un fattore critico, la compliance anticipata diventa una leva commerciale potente.
Non si tratta solo di allinearsi per evitare sanzioni future, ma di trasformare la conformità in valore aggiunto, in un asset strategico. Le imprese italiane che sapranno cogliere questo cambio di paradigma non saranno semplici follower, ma protagoniste della nuova era dell’AI regolamentata, più affidabile e sostenibile.
I rischi di una supply chain “non allineata”
Affidarsi a fornitori che non aderiscono al Codice di Condotta per l’Intelligenza Artificiale (GPAI) comporta una serie di rischi concreti che le imprese non possono più permettersi di ignorare. Il primo è l’imprevedibilità: senza un impegno formale su trasparenza e rendicontazione, le policy interne di questi provider possono cambiare da un giorno all’altro, rendendo difficile pianificare in modo coerente i processi aziendali.
A questo si aggiungono potenziali costi legali: per tutelarsi, le aziende devono ricorrere a contratti più complessi, con clausole specifiche per gli audit, procedure di escalation in caso di incidenti, fino all’inserimento di un vero e proprio “kill switch” per interrompere l’uso della tecnologia in situazioni critiche.
C’è infine un tema di visibilità: senza una roadmap condivisa sulla compliance, le organizzazioni si trovano a navigare al buio, soprattutto nel biennio 2025-2026, quando l’AI Act entrerà pienamente in vigore.
Non si tratta di puntare il dito contro Meta o altri fornitori che hanno scelto di non firmare il Codice GPAI. Si tratta, piuttosto, di adottare un approccio di risk management maturo, in grado di anticipare criticità e garantire continuità operativa in uno scenario tecnologico in rapida evoluzione.
Framework decisionale: agire ora o aspettare?
La tentazione per molte aziende è posticipare l’adeguamento fino all’obbligo formale. Ma c’è un problema di timing: il periodo Q3 2025 – Q3 2026 vedrà team legali, security e data già impegnati su implementazioni parallele (privacy updates, NIS2, requisiti ESG).
Concentrare tutto in quella finestra significa picchi di costo e stress operativo. Anticipare oggi amplia il buffer di assorbimento e distribuisce l’effort su un arco temporale più gestibile.
Checklist operativa per i prossimi 90 giorni
Perché l’adozione responsabile dell’intelligenza artificiale non resti solo una riflessione teorica, le imprese italiane dovrebbero attivarsi fin da subito con un piano operativo concreto, scandito in tre fasi fondamentali.
Nei primi 30 giorni, è cruciale partire da una mappatura strategica dell’ecosistema AI aziendale. Questo significa innanzitutto fare un inventario dei modelli di intelligenza artificiale attualmente utilizzati e dei rispettivi fornitori, distinguendo chiaramente tra quelli che hanno aderito al Codice di Condotta GPAI e quelli che non lo hanno fatto. A questa fotografia iniziale va affiancata una gap analysis della documentazione disponibile: verificare la presenza di model card, la tracciabilità dei dataset, le informazioni relative alla provenienza dei contenuti in ottica di copyright. In parallelo, è utile costruire un primo “registro dei rischi” legati all’AI, classificando gli impatti potenziali su privacy, sicurezza, proprietà intellettuale e diritti fondamentali.
Entro 60 giorni, si passa al rafforzamento dell’architettura contrattuale. In questo periodo, le aziende dovrebbero prevedere la creazione di addendum specifici per i contratti AI, con definizioni in linea con quanto previsto dall’AI Act. È importante includere clausole di “re-scoping” nel caso in cui un modello venga successivamente classificato come “sistemico” e, al contempo, prevedere diritti di audit proporzionati e sanzioni per la mancata comunicazione di incidenti o modifiche critiche. Il contratto non deve più essere solo uno strumento di ingaggio, ma una garanzia dinamica di compliance nel tempo.
Entro 90 giorni, si passa infine alla costruzione dell’infrastruttura di governance operativa. Questo significa attivare una pipeline centralizzata per registrare in modo sistematico le inferenze, i prompt utilizzati e i casi anomali (flag) prodotti dai sistemi AI. Vanno inoltre definiti protocolli per test di tipo “red team” e simulazioni adversarial, utili a identificare vulnerabilità nei modelli. È infine raccomandabile predisporre un modello di report trimestrale da condividere con il consiglio di amministrazione, contenente KPI specifici su rischio, efficacia e conformità dei sistemi intelligenti utilizzati.
Scenari 2025–2027: prepararsi all’ignoto
Guardando oltre l’orizzonte immediato, le aziende devono attrezzarsi per un contesto normativo che potrebbe evolversi in direzioni diverse, non sempre prevedibili. Tre sono gli scenari plausibili:
Scenario conservativo: l’adozione delle nuove regole avverrà in modo graduale, con un’attenzione particolare ai modelli più critici, quelli “sistemici”. In questo caso, le aziende potrebbero affrontare un aumento contenuto dei costi di conformità, stimato tra il 5 e l’8% del budget destinato all’AI.
Scenario accelerato: un aumento della pressione politica o nuovi incidenti legati all’uso scorretto dell’AI potrebbero spingere verso l’introduzione anticipata di impegni vincolanti. In questo caso, il costo della compliance potrebbe salire rapidamente, arrivando al 10-15% del budget.
Scenario disruptive: un evento ad alto impatto mediatico – ad esempio, un caso eclatante di malfunzionamento o abuso – potrebbe indurre l’Unione Europea a introdurre misure correttive urgenti. Questo scenario comporterebbe un aumento dei costi fino al 20%, con il rischio concreto di blocchi temporanei su alcune funzionalità AI, in attesa di adeguamenti normativi.