L’intelligenza artificiale in Europa, i dati

Il report del MIT Technology Review Insights fotografa la diffusione dell’intelligenza artificiale nelle aziende europee

Nell’intelligenza artificiale L’Europa ha tutte le carte in regola per essere leader mondiale: ha università di prim’ordine, un forte mercato interno, un ecosistema fatto di grandi aziende e startup in settori che stanno attraversando una profonda trasformazione per impulso dell’AI. Eppure, il nostro continente non sta tenendo il passo di Stati Uniti e Cina, sia per quanto riguarda i nuovi brevetti AI sia per l’esplosione di veri e propri colossi tecnologici come Microsoft, Apple, Google e Amazon o Baidu, Alibaba e Tencent.

Intelligenza artificiale in Europa, i dati

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La lenta crescita del continente e il ritardo della produttività sono ulteriori sfide economiche, aggravate dal blocco causato dal Covid-19. Questo è il quadro che emerge dalla ricerca “The global AI agenda” condotta dal MIT Technology Review Insights in collaborazione con Genesys intervistando circa mille esperti tra gennaio e febbraio 2020 per esplorare come le aziende utilizzano l’AI oggi e pianificano di farlo in futuro.

Intelligenza artificiale: a cosa serve

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I pericoli dell’intelligenza artificiale

Negli ultimi quattro anni, il rapporto tra le aziende europee e l’Intelligenza Artificiale è cresciuto in modo importante: se nel 2017 il 58% delle grandi imprese aveva introdotto progetti di AI nelle proprie organizzazioni, nel 2019 il numero è salito a oltre il 90%. E ben il 92% ritiene l’esperimento un successo, con un ritorno anche “superiore al previsto” sul proprio investimento.
In particolare, l’AI si è rivelata vantaggiosa in termini di miglioramento dell’efficienza operativa e della customer experience, secondo il 51% degli intervistati.

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Un risultato importante, soprattutto per alcuni dei settori cruciali dell’economia europea, come quello manifatturiero in transizione verso l’industry 4.0 (non a caso, oltre metà di queste aziende in Europa stanno implementando progetti di Intelligenza Artificiale, contro il 28% degli Stati Uniti e l’11% della Cina) o quelli del fintech e dell’entertainment.

Nel prossimo futuro l’AI rappresenterà un trend sempre più importante per le aziende europee: dalla ricerca emerge infatti che entro i prossimi tre anni il 45% delle imprese prevede di utilizzare l’AI per una fetta compresa tra il 21 e il 30% dei loro processi. Se il segmento del customer service rimarrà l’area più comune di utilizzo per tre quarti delle imprese, assisteremo ad una crescita consistente nei settori dell’IT management, marketing e HR.

Intelligenza artificiale e aziende

Per le aziende europee, così come per quelle del resto del mondo, la sfida più grande nel percorso di adozione dell’AI è quella del cambiamento dei processi aziendali per adeguarli alle nuove tecnologie. Il secondo ostacolo è rappresentato dalla carenza di data scientist o sviluppatori di AI, un problema che quasi la metà degli intervistati europei lamenta. Già nel 2018, una ricerca di EY aveva messo in luce le difficoltà delle imprese europee di reperire talenti con le competenze digitali di cui hanno bisogno, in particolare nel campo dell’AI e della sicurezza informatica; secondo un report di LinkedIn il numero di lavoratori qualificati in AI impiegati negli Stati Uniti è il doppio, nonostante la loro forza lavoro sia solo la metà di quella europea.

Contrariamente a quanto si possa pensare, invece, la rigida protezione dei dati in Europa non sembra essere un ostacolo più grande per gli intervistati rispetto a quelli di altri paesi: anzi un minor numero di dirigenti europei ha citato la qualità, la quantità e la disponibilità dei dati come uno dei tre principali vincoli per l’AI rispetto alle loro controparti in Nord America e Asia-Pacifico.


L’intelligenza artificiale in Europa, i dati - Ultima modifica: 2021-01-04T09:00:49+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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