Google AI Mode in italiano, cosa succede e gli impatti

Google AI Mode arriva in italiano e accende lo scontro: sintesi generative, traffico in calo ai siti e nuove regole del gioco per editori e PMI.


Arriva Google AI Mode in italiano e la ricerca cambia per sempre: non più una mappa di link da percorrere, ma un racconto pronto, già sintetizzato. Con Google AI Mode l’Italia entra nell’era in cui la prima risposta non è un titolo di giornale, ma una parafrasi algoritmica che mette ordine  e, a volte, mette in ombra. “Da oggi è disponibile AI Mode nella Ricerca Google in 38 nuove lingue e in quasi 50 nuovi paesi e territori, inclusi l’Italia e l’italiano!” scrive Google nel blog ufficiale italiano, legando l’annuncio a una promessa di accesso più facilw all’informazione. (blog.google).

Cambia il concetto stesso di Web che era nato con i link, la grande innovazione portata da Internet era gli hyperlink, la possibilità di saltare ad un altro contenuto. Tutta la terminologia legata ad Internet deriva dai Link: web, navigare, network… e ora i link si apprestano a sparire… 

La domanda è semplice: a chi giova questa facilità? Agli utenti che risparmiano tempo, certo, ma a che prezzo per chi produce informazione, per chi costruisce servizi digitali, per chi regge i conti della visibilità online?

Google AI Mode

Google AI Mode spiegato semplice

Google AI Mode porta nella ricerca i riassunti generativi (con fonti a corredo), la possibilità di porre domande in successione e la fusione di più media (testo, immagini, video) in un’unica risposta conversazionale. La versione italiana arriva insieme all’espansione globale in decine di lingue e paesi: un rollout di importante,.

Il cambiamento di paradigma è radicale: l’utente si ferma più spesso “sulla pagina di Google Ai Mode”, e solo dopo, eventualmente, ma raramente, visita un sito. Dai primi dati indipendenti emergono effetti misurabili sul comportamento: quando compare un sommario AI, la propensione al click sui link tradizionali scende sensibilmente (8% dei visitatori clicca, contro il 15% quando il sommario AI non c’è).Google obietta che AI Mode stimola l’uso maggiore della ricerca e migliora la soddisfazione degli utenti; ci sono analisi di settore che hanno infatti registrato una crescita dell’uso complessivo del motore di ricerca nell’anno del debutto dei riassunti AI. Entrambe le cose possono essere vere: più ricerche, ma meno click verso le fonti: è il segno di un potere che si sposta di un gradino verso l’aggregatore.

Google AI Mode l’esposto degli editori

Nel giorno in cui AI Mode arriva agli utenti italiani, l’editoria organizza la sua contro-narrazione. La FIEG ha depositato un reclamo ad AGCOM contro i riassunti generativi di Google (Google Mode) e, più in generale, contro la stratificazione di funzioni che “trattengono” l’utente sui risultati. Gli editori parlano di un “traffic killer”, con crolli di visite fino all’80% in alcuni scenari, e chiedono alla regolazione europea di intervenire.  Non è una disputa accademica: senza click i giornali vedono eroso il modello pubblicitario, faticano a sostenere redazioni e inchieste, perdono peso nel discorso pubblico. La sintesi AI non è neutra, perché decide linguaggio, priorità, framing — riducendo la pluralità delle voci a un paragrafo.

Le crepe tecniche: accuratezza, attribuzione, allucinazioni

A complicare il quadro c’è la qualità variabile delle risposte. Nei mesi scorsi diverse testate hanno documentato allucinazioni dei riassunti AI — affermazioni sbagliate espresse con tono sicuro. È un difetto sistemico dei modelli generativi, non un inciampo occasionale. Gli esempi, talvolta grotteschi, hanno alimentato la diffidenza degli editori e l’inquietudine dei regolatori. (The Times)

Google rimarca tassi di errore bassi e correzioni rapide; ma qui è il principio a essere in gioco: quando la prima lettura del web è una prosa sintetica, l’accuratezza non è un dettaglio — è il patto di fiducia. E l’attribuzione? Se la sintesi si nutre di molte fonti e ne propone poche (o semanticamente equivalenti), la scoperta diventa selettiva. Il rischio è una “camera d’eco sintetica” che privilegia alcune fonti e ne oscuri altre.

Voci note e critiche: su Google AI Mode

Nel dibattito internazionale, figure autorevoli hanno espresso riserve di merito e di metodo. Anil Dash, voce storica della cultura digitale, ha sintetizzato bene un paradosso: “Concordo con la sostanza della gran parte delle critiche all’AI. E trasformarle in gara d’invettive online ha fatto zero per rallentarne l’adozione, anche perché spesso è preinstallata per default.” (trad. nostra). La sua non è un’invettiva, è un invito a capire che la trazione di strumenti come AI Mode non dipende solo dalla bontà tecnica, ma dalla forza dell’integrazione di default nelle nostre abitudini. (Simon Willison’s Weblog)

Sul fronte SEO, Rand Fishkin ha mostrato come nell’anno dell’introduzione dei riassunti AI l’uso della ricerca sia cresciuto, ma questo non implica più visite ai siti: il valore può restare a monte — dentro l’interfaccia di Google. È un messaggio chiaro per chi investe in contenuti: bisogna ripensare formati, markup, strategie di citabilità per “entrare” nel riquadro AI, non solo scalare le SERP classiche. (sparktoro.com)

Accanto alla riflessione culturale e SEO, arrivano contenziosi legali: negli USA aziende come Chegg hanno denunciato l’impatto dei riassunti AI su traffico e ricavi, portando il confronto sul terreno antitrust. Non è l’Italia, ma indica la direzione di un conflitto che potrebbe estendersi. (New York Post)

 La comodità ha un costo (e non è solo economico)

Qui il punto non è “pro o contro” Google AI Mode: bisogna capire quale idea di web stiamo varando. La sintesi generativa è comodità: ti evita di aprire tre pagine, ti consegna un paragrafo plausibile. Ma la comodità sposta valore, incentivi, pluralità. Se l’utente resta nel recinto dell’aggregatore, i siti diventano fornitori invisibili di materia prima linguistica.

La storia della tecnologia insegna che ciò che si mette “a monte” del flusso informativo accumula potere: browser, sistemi operativi, app-store, ora i riassunti AI. Non è un male in sé; è una responsabilità enorme, per reggerla servono tre condizioni: attribuzione trasparente (fonti chiare e valorizzate), accuratezza verificabile (meccanismi di correzione rapidi e editabili), remunerazione equa (se la sintesi sostituisce il click, riconosca valore economico a chi crea i contenuti).

Senza queste tre condizioni, l’Google AI Mode rischia di trasformare Internet in un condominio dove il custode racconta i giornali nell’androne, e nessuno compra più il giornale.

Il web è nato con in link, anzi propri hyperlink lo ha definito come tale. Oggi stiamo decidendo se accettiamo un web che racconta prima di linkare: Google AI Mode è il segnale di questo passaggio. Tocca a chi fa contenuti, a chi costruisce prodotti, a chi regola i mercati e a chi cerca  pretendere che la comodità non diventi amputazione.

 


Google AI Mode in italiano, cosa succede e gli impatti - Ultima modifica: 2025-10-17T11:11:33+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

Arduino

Non rimanere indietro, iscriviti ora

Ricevi in tempo reale le notizie del digitale

Iscrizione alla Newsletter

controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione

Privacy Policy

Grazie! Ora fai parte di Digitalic!