Licenziamenti Big Tech 2025: 100.000 posti tagliati e il dibattito sul Reddito Universale

Nel 2025 l’intelligenza artificiale sta ridisegnando il mondo del lavoro, generando una crescita “senza occupazione” e oltre 100.000 licenziamenti tra le Big Tech. Mentre figure come Bill Gates e Satya Nadella avvertono dei rischi dell’automazione, Jeff Bezos e Marc Andreessen vedono nell’AI un motore di innovazione e rinascita economica. Tra promesse di produttività e paure di disoccupazione tecnologica, l’Italia riscopre il dibattito sul Reddito Universale. Il futuro del lavoro dipenderà da quanto sapremo adattarci a una trasformazione che corre più veloce della società stessa.


Il 2025 sarà ricordato come l’anno dei licenziamenti Big Tech: l’intelligenza artificiale (AI) sta rivoluzionando il mondo del lavoro, ma non sempre in modo positivo. Mentre le aziende tech americane annunciano profitti record grazie all’automazione, migliaia di lavoratori si trovano improvvisamente senza impiego. Nel 2025, i tagli ai posti di lavoro hanno superato quota 100.000 solo tra giganti come Amazon, Meta, Google e Intel, scatenando un dibattito globale sulla “jobless growth”, una crescita economica che non crea posti di lavoro, ma li distrugge. In Italia, questo fenomeno potrebbe riaccendere vecchie battaglie, come quella promossa da Beppe Grillo per un Reddito Universale (UBI, Universal Basic Income), legandosi a proteste contro l’automazione e appelli per un sistema di welfare abilitato dall’AI. Molto dipende dalla velocità di introduzione, non è la prima volta che il mondo si trova di fronte ad una tecnologia che cambia le logiche del lavoro.

E’ successo anche con l’elettricità che ha eliminato molte categorie lavorative, il problema è la velocità di adozione. Subito l’elettricità ha reso superflui alcuni lavori direttamente collegati al suo arrivo (la filiera che produceva olio per i lampioni ad esempio). Poi sono arrivate le invenzioni abilitate dall’elettricità e sono spariti altri lavori, con l’invenzione del frigo sono stati resi superflui i venditori di giacchio. Noi siamo nella prima fase di adozione dell’Ai e oggi vengono cancellati i lavori direttamente connessi a questa tecnologia, poi arriveranno le invenzioni rese possibili dall’AI, i frigoriferi dell’AI e l’impatto sarà ancora maggiore. Nel passato l’ingresso dell’elettricità nel mondo produttivo è stato graduale, o almeno più graduale, e la società è riuscita ad adattarsi meglio, creando nuovi ruoli lavorativi mentre alcuni venivano sostituiti. L’adozione dell’AI è invece istantanea non ci sono barriere fisiche da superare o stabilimenti produttivi da convertire, l’impatto quindi nel breve periodo sarà alto: la società non sta avendo il tempo di adattarsi.

Licenziamenti Big Tech

Licenziamenti Big Tech 2025: numeri e cause

Il 2025 si sta rivelando un anno nero per l’occupazione nel settore tech. Secondo report recenti, oltre 100.000 posti di lavoro sono stati tagliati tra le principali aziende statunitensi, con un incremento del 55% rispetto all’anno precedente. Amazon guida la classifica con un piano di ristrutturazione che prevede fino a 30.000 licenziamenti, concentrati in reparti come logistica, pagamenti, videogiochi e cloud computing. Meta, la società di Mark Zuckerberg, ha annunciato 600 tagli nella divisione AI, mirati a “semplificare” le operazioni. Google e Intel non sono da meno: Intel ha eliminato circa 15.000-22.000 posizioni, mentre Google ha contribuito con migliaia di riduzioni in vari settori.

Questi numeri non sono casuali. L’IA è il principale colpevole: aziende come Amazon stanno investendo in robot e automazione per ridurre i costi, con un effetto domino che colpisce il 10% della forza lavoro corporate. Un grafico che illustra i licenziamenti nelle principali tech companies nel 2024-2025, evidenziando l impatto su aziende come Intel e Amazon. Questi eventi non sono isolati agli USA: l’onda d’urto arriva anche in Europa, dove l’Italia rischia di subire contraccolpi simili nelle sue PMI tech.

Jobless Growth: come l’AI sta ridefinendo il lavoro

Il concetto di “jobless growth” – crescita senza occupazione – è al centro del dibattito. L’IA non solo automatizza compiti ripetitivi, ma invade settori creativi e decisionali. Pensate a tool come ChatGPT o sistemi di machine learning che sostituiscono analisti, programmatori e persino manager. Negli USA, un milione di licenziamenti da inizio anno riflettono questa tendenza, con il tech al primo posto.9

In Italia, dove l’adozione dell’AI è ancora bassa (solo il 20% delle imprese la utilizza), il rischio è doppio: da un lato, perdiamo competitività; dall’altro, l’automazione importata potrebbe accelerare i tagli. Esperti avvertono che questi licenziamenti sono solo l’inizio, con Intel in testa alla classifica globale.03“Un immagine simbolica del futuro del lavoro: un umano e un robot in attesa di un colloquio, rappresentando la competizione con l’AI.

Ma non tutto è negativo: l’AI potrebbe creare nuovi ruoli, come prompt engineer o esperti di etica AI. Il problema è la transizione: senza reti di sicurezza, milioni rischiano la marginalizzazione.

Beppe Grillo e il rilancio del reddito universale in Italia

In questo contesto, l’Italia torna a parlare di Reddito Universale. Beppe Grillo, fondatore del Movimento 5 Stelle, ha da anni promosso l’UBI come soluzione alle disuguaglianze amplificate dalla tecnologia. Nel suo post del 2025 intitolato “2025: Reddito Universale e felicità, non è un’utopia”, Grillo argue che garantire un reddito base a tutti i cittadini ridurrebbe la povertà e migliorerebbe il benessere, specialmente con l’IA che rende il lavoro “instabile”.

Grillo non è solo: Elon Musk ha espresso idee simili, e in Italia sondaggi mostrano che il 52% degli italiani è favorevole all’UBI.13 Il suo appello si lega ai recenti licenziamenti USA, prevedendo che l’Italia debba prepararsi a un’onda simile. “Serve un reddito universale incondizionato”, ha dichiarato in vari interventi, criticando un sistema che “ricatta” con il lavoro ha detto Beppe Grillo durante un discorso appassionato su temi come l’AI e il reddito universale. Questi messaggi stanno riaccendendo dibattiti nazionali, con eco su media.

Licenziamenti Big Tech Reddito Universale

Proteste contro l’automazione e appelli per un UBI abilitato dall’AI

Le proteste non tardano ad arrivare. In Italia, sindacati e attivisti legano i licenziamenti USA a timori locali: “Se Amazon taglia 30.000 posti con l’IA, cosa succederà alle nostre logistiche?”, si chiede un articolo di Editoriale Domani. Appelli per un UBI “basato sull’AI”, ovvero un sistema che usa algoritmi per distribuire risorse equamente, guadagnano terreno. Immaginate un UBI che integra dati AI per adattarsi alle esigenze individuali: più supporto per chi perde il lavoro a causa dell’automazione. Questo approccio, discusso in forum come quelli di Facebook e TikTok, potrebbe trasformare il welfare italiano.

Licenziamenti Big Tech 2025 e AI, il parere dei Guru della tecnologia

Satya Nadella, CEO di Microsoft, ha messo in guardia sul fatto che l’automazione cognitiva tramite IA non è soltanto sostituzione di lavoro umano: «When we think about … all these agents… the fundamental thing is there’s a new work and workflow».
Sundar Pichai, CEO di Alphabet Inc. (la controllante di Google), offre un punto di vista più ottimistico: «AI is not a job killer… it’s an accelerator» e afferma che «AI will create new jobs», evidenziando come persino lui creda che «we’re in a new phase of the AI platform shift».
Queste dichiarazioni illustrano chiaramente la doppia natura dell’automazione: da un lato il rischio concreto di riduzione o trasformazione di ruoli tradizionali — come sottolineato da Gates e Nadella — e dall’altro la possibilità di nuovi lavori e workflow che Pichai intravede. In altre parole: non siamo solo di fronte alla distruzione del lavoro, ma alla sua metamorfosi — il che rende ancora più urgente la riflessione sull’adeguatezza delle nostre politiche sociali, come l’UBI, in un mondo in cui la velocità di adozione dell’IA supera quella dell’adattamento della società.

Jeff Bezos – fondatore di Amazon – ha infatti osservato che «the [AI] bubble is good because … when the dust settles and you see who are the winners, societies benefit from those inventions». Ha anche affermato che «95% of my time at Amazon is focused on AI» e che «there is not a single application that won’t be made better by AI». In queste dichiarazioni è evidente la convinzione che l’IA, lungi dall’essere solo distruttiva, rappresenti un acceleratore di innovazioni radicali – ma ciò implica anche che i ruoli tradizionali vengano messi in discussione molto rapidamente.
Al tempo stesso, Marc Andreessen – co-fondatore della venture capital firm Andreessen Horowitz – ha offerto una visione più ottimistica e strutturata: «Most of the claims that AI will kill jobs … are moral panics» e «Productivity growth throughout the economy will accelerate dramatically … creation of new industries, creation of new jobs, and wage growth». In un’intervista ha anche suggerito che «when the AIs are doing everything else, maybe venture capital will be one of the last remaining fields that people are still doing». altre parole: secondo Andreessen l’IA non segnerà la fine del lavoro in sé, ma la fine di alcuni modelli di lavoro, sostituiti o trasformati,  e l’emergere di ruoli nuovi e oggi inimmaginati.

Lavoro, dignità e libertà nell’era dell’AI

La questione del Reddito Universale di fronte all’automazione dell’AI non è solo economica, ma profondamente filosofica. Hannah Arendt, nella sua opera Vita Activa, distingueva tra “lavoro” (labour) – mera sopravvivenza – e “opera” (work) – creazione di significato. L’IA che elimina il lavoro ripetitivo potrebbe paradossalmente liberarci per l’opera, ma solo se garantiamo la sopravvivenza attraverso l’UBI. Senza questa rete, rischiamo ciò che Arendt temeva: una massa di individui privati della dignità che deriva dall’azione nel mondo pubblico.

Bertrand Russell, nel suo saggio del 1932 Elogio dell’ozio, sosteneva che lavorare meno ore non solo è possibile, ma desiderabile: “La strada per la felicità passa attraverso una riduzione organizzata del lavoro”. L’automazione ci offre esattamente questa opportunità, ma la nostra cultura del lavoro – quella che Russell chiamava “morale degli schiavi” – resiste. L’UBI sfida questo paradigma, suggerendo che il valore umano non dipende dalla produttività economica.

Anche John Rawls e la sua teoria della giustizia offrono una lente utile: dietro un “velo di ignoranza”, senza sapere se saremo tra i beneficiari o le vittime dell’automazione, quale sistema sceglieremmo? Probabilmente uno che garantisce a tutti un minimo esistenziale, proteggendo i più vulnerabili dalle conseguenze della disruzione tecnologica. L’UBI rappresenta proprio questo principio di giustizia distributiva applicato all’era digitale.

Karl Marx aveva previsto un futuro in cui le macchine avrebbero reso il lavoro umano obsoleto, ma vedeva in questo la possibilità di una società post-scarsità, dove ognuno contribuisce “secondo le proprie capacità” e riceve “secondo i propri bisogni”. L’AI potrebbe realizzare questa visione, ma il capitalismo contemporaneo concentra i profitti dell’automazione nelle mani di pochi, tradendo la promessa marxiana. L’UBI emerge così come strumento di redistribuzione, un tentativo di socializzare i guadagni della produttività tecnologica.

Infine, André Gorz, filosofo del post-lavoro, sosteneva che la liberazione dal lavoro salariato è la precondizione per una vera libertà individuale e collettiva. Nel suo Metamorfosi del lavoro (1988), prevedeva un futuro in cui il “tempo liberato” diventerebbe lo spazio per l’autorealizzazione, l’educazione permanente e l’impegno civico. L’IA può essere lo strumento di questa metamorfosi, ma solo se accompagnata da politiche redistributive come l’UBI. Altrimenti, come temeva Gorz, avremo una società divisa tra un’élite iperconnessa e masse precarizzate, dove la tecnologia amplifica le disuguaglianze invece di ridurle.

L’AI ci pone davanti a una scelta fondamentale: usare la tecnologia per emancipare l’umanità dal bisogno, come speravano Russell e Gorz, o permettere che diventi uno strumento di ulteriore asservimento e disuguaglianza. Il Reddito Universale non è la risposta definitiva, ma potrebbe essere il primo passo verso un futuro in cui la dignità umana non dipende dalla capacità di vendere il proprio lavoro in un mercato sempre più ostile.


Licenziamenti Big Tech 2025: 100.000 posti tagliati e il dibattito sul Reddito Universale - Ultima modifica: 2025-11-05T11:19:06+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

Arduino

Non rimanere indietro, iscriviti ora

Ricevi in tempo reale le notizie del digitale

Iscrizione alla Newsletter

controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione

Privacy Policy

Grazie! Ora fai parte di Digitalic!