L’intelligenza artificiale, spinta anche dalla vanità, offre oggi grandi opportunità per le PMI, ma solleva questioni etiche che richiedono un attento equilibrio normativo
L’intelligenza artificiale non è un monolite, anche se può a volte smembrarlo. Non è l’essere parmenideo finito e perfetto… è invece un mondo fatto di sfaccettature, sfumature e soprattutto è un cantiere aperto, partito senza un progetto complessivo. Così, in alcune aree vediamo sorgere dei palazzi luccicanti e in altre solo terra brulla.
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Molteplici AI
Abbiamo tante e performanti alternative di AI che generano testi e ben poche che ci dicano come cambiare un modello di business. Non è solo una questione di complicazioni tecniche, di difficoltà programmatorie, è una scelta: anche l’AI è vanitosa. Si è puntato sul testo, sulla capacità di rispondere alle domande di senso comune, a ciò che fa “spettacolo”. A questo si aggiunge una ragione “storica”; mentre i grandi della tecnologia stavano covando con calma il loro uovo d’oro dell’AI aspettando il momento giusto per schiuderlo, è arrivata OpenAI che si è presentata con un modello funzionante. Da quel momento per tutti gli altri è iniziata una rincorsa non solo e non tanto tecnologica, quanto comunicativa: tutti dovevano annunciare la propria AI mostrando funzioni altrettanto “spettacolari”. Le acque si calmeranno ora e si penserà di più a cosa è utile davvero.
AI Frugale
Uno degli sviluppi più promettenti è il concetto di AI frugale: soluzioni avanzate ma accessibili, che si possono addestrare su un set limitato di dati per compiti specifici, pensate per rispondere alle esigenze di piccole e medie imprese che vogliono innovare senza investire capitali eccessivi. In un tessuto economico come quello italiano, dominato dalle PMI, l’AI frugale può rappresentare una svolta. Dall’ottimizzazione dei processi produttivi alla personalizzazione dell’offerta per i clienti, questa forma di AI si basa su modelli meno costosi e tecnologie scalabili che permettono di ottenere risultati tangibili con risorse contenute. Non parliamo di fantascienza, ma di applicazioni concrete che possono già oggi aiutare un’azienda a migliorare la propria competitività e ridurre i costi operativi.
L’adozione dell’AI in Italia può portare enormi vantaggi per le imprese e le micro-imprese: analisi dei dati più approfondite, automazione intelligente dei processi ripetitivi, e un miglioramento nell’ottimizzazione delle risorse. Pensiamo, per esempio, al settore manifatturiero, dove l’AI consente una manutenzione predittiva che riduce i fermi macchina e abbassa i costi di gestione. O ancora al retail e all’e-commerce, dove algoritmi di intelligenza artificiale consentono di anticipare le tendenze di consumo e personalizzare l’esperienza cliente, incrementando la fidelizzazione e le vendite. Questi benefici non solo migliorano le performance aziendali ma creano un vantaggio competitivo.
AI in Italia
L’Italia è la terra degli artigiani e anche le più rinomate aziende italiane sono nate così, in fondo anche la Ferrari era un’officina artigianale di auto sportive. Il limite dell’artigianato è la scalabilità, l’AI può renderlo scalabile e non ci si potrebbe augurare qualcosa di meglio per l’economia italiana.
Il potenziale dell’intelligenza artificiale non arriva senza portare con sé anche questioni spinose. Temi come la privacy dei dati, la trasparenza degli algoritmi, e il rischio di una disoccupazione tecnologica preoccupano molti.
L’equità dell’AI
Per risolvere tali questioni, serve un approccio che combini innovazione tecnologica e sensibilità sociale. L’AI responsabile non può prescindere da normative chiare, da strumenti che garantiscano la sicurezza e l’equità delle decisioni algoritmiche e da un’attenzione costante alla protezione della privacy dei dati. Le aziende possono fare la loro parte abbracciando pratiche etiche, garantendo la trasparenza e adottando soluzioni di AI esplicabili, ovvero tecnologie in cui gli utenti possano comprendere come e perché le decisioni vengono prese, ma occorre anche un quadro normativo efficace che sappia regolare senza soffocare, garantire i diritti senza inibire lo sviluppo e per il momento siamo lontani da questo scenario. L’AI Act europeo e le norme nazionali che ne sono derivate stanno ritardando lo sviluppo dell’AI, introducendo una sorta di presunzione di colpevolezza per chi crea intelligenza artificiale che rischia di allontanare sviluppatori e sviluppi. A volte una norma in meno e un controllo in più sono più utili, ma questo ancora non lo abbiamo imparato.