Direttiva sul Copyright: ecco perché viene contestata

La direttiva sul copyright approvata dall’Europa potrebbe avere implicazioni di vasta portata per la cultura su internet. Due le disposizioni più contestate

La riforma della Direttiva sul Copyright europea, la nuova legge sul copyright,  potrebbe avere implicazioni di vasta portata per la cultura su internet. Due disposizioni specifiche hanno attirato l’ira dei gruppi per i diritti digitali come Wikipedia . Ecco a cosa è dovuta la contestazione.

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Riforma del Copyright approvata: tutto quello che c’è da sapere

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Direttiva sul Copyright : le due norme più contestate

La prima riforma, nota come articolo 11, mira a dare agli editori di notizie una posizione più forte nei negoziati con piattaforme internet come Google e Facebook. I sostenitori di questo cambiamento sostengono che le grandi aziende tecnologiche hanno minato il modello economico dei tradizionali editori di notizie, e quindi vogliono forzare le piattaforme online a pagare i diritti agli editori di notizie quando aggregano i loro contenuti.

La seconda parte controversa della riforma, nota come articolo 13, mira ad affrontare una longeva controversia con le principali società che si occupano di contenuti: l’attuale regime di “avviso e rimozione” nell’applicazione delle rimostranze sulle violazioni del copyright rende troppo difficile per i detentori dei diritti di autore la battaglia contro la pirateria online. I sostenitori della riforma vogliono spostare le regole sulla responsabilità per costringere le aziende tecnologiche ad assumere un ruolo più attivo nella gestione dei contenuti, un cambiamento che potrebbe costringere più aziende online ad adottare sistemi di filtraggio come il Content ID di YouTube.

Direttiva europea sul diritto d’autore, le critiche

Coloro che sono critici in merito alla normativa UE, la direttiva sul copyright – come Wikipedia che per protesta ha oscurato le sue pagine per qualche giorno a luglio – vedono entrambi questi cambiamenti come attacchi ai principi fondamentali che fanno funzionare internet. Hanno soprannominato l’articolo 11 una “tassa sul link” che potrebbe arrecare problemi ai publisher solo per aver utilizzato un link a un articolo, per via dell’estratto del testo nel titolo del collegamento; coloro che si oppongono sottolineano che sistemi come il Content ID hanno una storia di utilizzo fin troppo zelante che minaccia l’uso equo di tali sistemi e i diritti sul web relativi alla libertà di espressione.

Tutto ciò è ulteriormente complicato dal complicato procedimento normativo dell’Unione Europea, che rende difficile prevedere come queste proposte si concretizzeranno nella pratica. Molti emendamenti alla proposta sono stati avanzati innanzi al Parlamento Europeo e qualunque sia l’eventuale forma definitiva della direttiva sul copyright approvata a livello europeo sarà poi inviata a decine di singoli governi membri che dovranno tradurre la sua formulazione piuttosto astratta in una legislazione concreta e applicabile a livello nazionale.

Ciò che è chiaro è che le proposte creerebbero caos nell’economia di internet. Sebbene la legislazione sia chiaramente indirizzata a Google, l’impatto maggiore potrebbe riguardare siti minori che improvvisamente si troverebbero a dover negoziare nuove licenze e impostare nuovi sistemi di filtraggio.

Legge europea sul copyright: il Content ID

Una prima bozza dell’articolo 13 della nuova normativa UE sul copyright richiedeva che le piattaforme tecnologiche si impegnassero nella “cooperazione con i titolari dei diritti” nell’utilizzare “tecnologie di riconoscimento dei contenuti” o altri meccanismi per impedire agli utenti di caricare contenuti illeciti.

I sostenitori di questa proposta sostengono che l’attuale regime di “avviso e rimozione” non funziona adeguatamente per i creatori di contenuti. Spesso i creatori di contenuti inviano una richiesta di rimozione contro una copia illecita del loro lavoro solo per scoprire che un’altra copia è stata caricata poche ore o giorni dopo altrove o anche sulla stessa piattaforma. Gli editori vogliono spostare maggiormente la responsabilità del controllo sulla violazione dei diritti sui contenuti verso le aziende tecnologiche stesse, costringendole a rispondere alle richieste di rimozione in blocco e ad implementare tecnologie per riconoscere i caricamenti ripetuti e vietarli del tutto.

Questo è sostanzialmente lo stesso approccio che YouTube ha adottato dieci anni fa con il suo sistema Content ID. Content ID esegue la scansione di ciascun video caricato e lo confronta con un database di opere protette dal copyright precedentemente fornite dai titolari dei diritti. Se c’è una corrispondenza, YouTube consente ai titolari dei diritti di scegliere tra bloccare il video o pubblicare annunci avversi al video e mantenere alcuni o tutti i ricavi.

Riforma diritto d’autore UE scelte imperfette

Ma i più critici sottolineano che questo sistema è tutt’altro che perfetto ed è soggetto a potenziali errori di valutazione, come accaduto, ad esempio, a un professore di musica che aveva utilizzato brani di musicisti morti da tempo, come Beethoven, Bartók, Schubert, Puccini e Wagner, in maniera lecita. In passato, inoltre, alcune aziende hanno utilizzato il Content ID per rivendicare la proprietà di filmati di pubblico dominio pubblicati dalla NASA.

Per affrontare questa preoccupazione, un emendamento alla direttiva sul copyright di Axel Voss, un deputato tedesco allineato con i titolari dei diritti, afferma che “la cooperazione tra fornitori di servizi di contenuti online e titolari di diritti non dovrebbe portare a impedire la disponibilità di opere che non violano i diritti.” Ma l’emendamento non offre dettagli reali su come ottenere questo effetto, lasciandolo ai singoli paesi o singole aziende l’onere di trovare un modo.

Un altro potenziale problema è il seguente: Google ha speso più di 60 milioni di dollari per creare il sistema in uso di Content ID. Questa è una spesa relativamente piccola per una piattaforma come YouTube, ma un sito più piccolo che cerca di competere con YouTube potrebbe ovviamente avere dei problemi nell’ottenere una tale quantità di denaro per implementare un sistema affine in tempi anche ristretti. I detrattori della riforma sostengono che l’impatto pratico di imporre un sistema in stile Content ID attraverso internet nella sua interezza a livello europeo sarebbe quello di consolidare le grandi piattaforme tecnologiche che abbiamo oggi e bloccare nuovi concorrenti.

Nuova legge europea sul copyright per far pagare Google

L’altra parte controversa della direttiva sul copyright europea è l’articolo 11, definito da alcuni una “tassa sui link”. Coloro che producono contenuti in merito a notizie si lamentano da tempo che siti come Google News hanno costruito un vasto pubblico semplicemente fornendo link a notizie scritte da altre persone, senza condividere i loro profitti con gli editori. L’articolo 11 ha lo scopo di cambiare questo assetto, dando agli editori di notizie un maggiore controllo sul modo in cui le piattaforme tecnologiche estraggono contenuti e si collegano agli articoli altrui.

Tuttavia, ciò che la normativa UE sul copyright proibirebbe in realtà è davvero poco chiaro. Per placare i timori che l’articolo 11 imporrebbe una “tassa sui link” online, Voss ha proposto un emendamento che chiarisce che i nuovi diritti degli editori di notizie “non si estendono ai meri collegamenti ipertestuali, che sono accompagnati da singole parole”. Ma questo suggerisce che, se si ha un collegamento ipertestuale con più di una parola, o magari si collega a un articolo con notizie usando il titolo come testo del link, allora si potrebbe incappare in una violazione dei nuovi diritti.

“Non è molto chiaro di cosa si tratti”, ha affermato Danny O’Brien della Electronic Frontier Foundation.

Direttiva sul copyright: cosa è successo in Germania e Spagna

E O’Brien sostiene che è tutt’altro che certo che gli editori  guadagnerebbero effettivamente da un nuovo diritto sul collegamento. Indica le recenti esperienze in Germania e Spagna, che hanno approvato una legislazione simile a livello nazionale. Google ha risposto alla legislazione tedesca eliminando siti di notizie da Google News, accettando di ri-aggiungerli solo se avessero accettato di rinunciare a questi nuovi diritti sul collegamento. Gli editori tedeschi, affamati di traffico web, hanno rapidamente accettato i termini di Google.

La Spagna ha poi approvato una legge simile, tranne per il fatto che questa vietava a Google di chiedere licenze gratuite. Google ha risposto chiudendo completamente la versione spagnola di Google News.

Il fatto che Google fosse disposto a dare un segnale esemplare chiudendo Google News in Spagna non significa necessariamente che Google sarà disposta a fare la stessa cosa in tutta Europa, dato che sarebbe un colpo molto più grande per gli affari di Google, ma O’Brien sottolinea che Google News non è in realtà un grande generatore di entrate per Google, considerato che, al momento, l’home page di Google News non presenta nemmeno annunci.

La nuova legge sul copyright UE minaccia tutto il web secondo Wikimedia

 


Direttiva sul Copyright: ecco perché viene contestata - Ultima modifica: 2018-09-16T06:49:41+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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